LECCE (di Elisa Morello) – Caro Lettore, queste sono alcune delle altre pagine del diario di bordo di un viaggio ricco di forti emozioni, della voglia di non arrendersi e di continuare a crederci…

M., una studentessa magistrale fuorisede, racconta: “Tornando a Roma dopo le vacanze di Natale, credevo che dopo qualche mese sarei tornata dalla mia famiglia: mai avrei immaginato che una pandemia me lo avrebbe impedito. Eppure eccomi qua. La situazione è senz’altro insolita, tuttavia mi ritengo molto fortunata in quanto non mi sento affatto sola. Ho un rapporto splendido con le mie coinquiline. Nonostante la tensione legata al particolare periodo che stiamo vivendo, la nostra amicizia si sta rafforzando molto. È vero: ogni tanto la nostalgia di casa inizia a farsi sentire, così come la preoccupazione che qualche persona a me cara possa contrarre il virus. Tuttavia non mi perdo d’animo. Quando questi pensieri iniziano ad affiorare, ciò che fa la differenza è confidarli a chi si trova nella mia stessa situazione. Il confronto e la condivisione delle mie emozioni mi consente di ritornare in me e di guardare questo periodo con fiducia e speranza”.

Sentimenti simili nella storia di R., una studentessa magistrale fuorisede: “Prima che scoppiasse l’emergenza del Sars Cov-2 mi trovavo a Roma per seguire le lezioni e sostenere gli esami regolarmente, in pochi giorni la situazione in Italia è precipitata e così, consapevole delle mie responsabilità, ho scelto di non rientrare in Sicilia dalla mia famiglia per non contribuire alla diffusione dell’infezione. Durante le prime settimane di marzo dilagava un clima di panico e sconforto generale tra i miei coetanei, tutti i social erano inondati di messaggi di paura, linee guida per la detersione delle mani e consigli per affrontare al meglio la quarantena. Dopo una fase iniziale di disorientamento, ho provato, giorno dopo giorno, ad abituarmi alla nuova routine quotidiana fatta esclusivamente di attività casalinghe e dello studio in preparazione agli esami da sostenere durante la sessione di aprile. Concentrarsi mentre negli ospedali il numero di ammalati e di morti aumentava esponenzialmente, non è stato semplice. Il mio pensiero è sempre stato rivolto ai miei genitori che, per motivi lavorativi, continuavano ad essere potenziali vittime del virus.

Ad oggi sono trascorsi circa 40 giorni dall’ultima volta che sono uscita di casa, per fortuna vivo insieme a mio fratello e questo rende la mia quarantena di gran lunga più semplice da affrontare. Se qualche mese fa mi avessero chiesto dove avrei festeggiato la Pasqua, con sicurezza avrei risposto: “in Sicilia, insieme a tutta la mia famiglia, come da tradizione”. Ieri è stato il giorno della Resurrezione del Signore e purtroppo, al contrario di quanto sperassi mesi fa, non ho potuto godere del calore della mia famiglia riunita e del cielo azzurro della mia terra. Questo periodo di quarantena porta con sé molti insegnamenti, il primo fra tutti è che l’imprevisto è dietro l’angolo e anche i programmi più meticolosi possono venire d’un tratto scardinati”.

Ho scelto di non tornare a Macao” – le parole di J. una studentessa laureanda fuorisede – “Conosco la gravità dell’epidemia. Mia nonna a Macao ha già 85 anni e non voglio rischiare di tornare a infettarla o infettare gli altri. Immagino l’isolamento come una vacanza. Ho più tempo per pensare alla vita, leggere, prendere il sole sul balcone. Abbraccio tutto ciò che ho ora e trovo gioia nella cucina e mi tratto come se ogni giorno fosse l’ultimo giorno della mia vita, senza rimpianti. Cerco di non pensare al futuro e ragiono con la Legge di Murphy. La componente mentale è molto importante. I miei familiari a Macao sono troppo ansiosi quando guardano il numero di contagi che aumentano in Italia e sono molto preoccupati per me. Ma io cerco di non essere ansiosa e non voglio che la mia famiglia si preoccupi per me. Parlo con mia nonna ogni giorno e le dico che sto bene. Ha detto che è felice di sentirmi ogni giorno”.

I., studentessa laureanda in Medicina e Chirurgia, utilizza una metafora per spiegare il suo stato d’animo post-Covid: “De-strutturazione. È una scelta alquanto improbabile -quando si rileva un edificio un po’ dissestato – impiegare gli stessi mattoni, riciclare gli infissi, resistere alla forte tentazione di demolire, buttare giù e ricostruire con materiali nuovi. Se è sensato farlo con una struttura materiale, non è possibile liberarsi di sè: occorre ingegnarsi e fare, delle proprie rovine, una nuova, fulgida abitazione. Confrontarmi con quasi due mesi di completa solitudine, ad accezione di una piantina di primule che in realtà ignoro e non capisco come faccia a sopravvivere comunque, mi hanno richiesto una totale de-strutturazione.

Molti hanno fatto tesoro di questo periodo per cucinare, leggere i libri ammassati sul comodino, imparare qualcosa di nuovo, fare le massive pulizie primaverili o scartavetrare le ringhiere (i miei vicini). Io, invece, studentessa universitaria ho cumuli di materiale e esami ogni settimana (grossomodo fino a giugno), più tirocinio in ospedale. Tempo privilegiato per studiare. Eppure mi tocca spenderlo in compagnia di una coinquilina esigente, molesta e molto, troppo introspettiva: me stessa. Così, in 30 metri quadri soggiorniamo Io, le mie paturnie e i rumori molesti di chi, volti e storie a me ignoti, cammina e salta e passa l’aspirapolvere al piano di sopra. Scandiscono un ritmo più lento e rilassato, tanto e profondamente distante da quello che dovrei impormi per dare esami. Percepisco una forte discrepanza tra il mondo fermo e rallentato e la pila di plichi, volumi e dispense che mi chiama, ben poco voluttuosa e desiderabile. Cosa ha innescato, in me, la necessità urgente e impellente di costruirmi da capo, da principio?

La fase più di dura di questa quarantena è stata la settimana Santa e Pasqua. Lontano dagli affetti, dalle tradizioni, quasi non vale la pena neppure cucinare per sé stessi, vestirsi bene per sé. E poi, gli esami, gli esami, gli esami… il grande paradosso è che le persone che amo sono nel raggio minimo di 1,7 km e massimo di 110 km. Incredibilmente vicine, ma assolutamente distanti per il conforto di un abbraccio, di un sorriso o una carezza.

Mi è stato chiesto di lavorare, quasi alla fine del mio percorso universitario, a ritmi intensi ma sola, senza il margine di uno sguardo familiare e amico. La prima reazione è, se non la rabbia, l’assoluta negazione di ogni possibilità di farcela: “diventerò pazza prima”. Le certezze che ho sempre cercato nelle persone amate, nelle mie qualità stavano miseramente fallendo. Messo alle strette, il mio orgoglio ha capito: possiamo resistere a blocchi e difficoltà su innumerevoli fronti, ma solo se ci de-strutturiamo: cambio l’ordine delle mie priorità, fondo me stessa non su me stessa o sugli altri, perché alla prima delusione, privati di un conforto umano, si crolla. Metto alla base del mio edificio nuovo, ma fatto di pezzi vecchi, la mia anima: ha un marchio di fabbrica che la riporterà sempre al suo produttore. Mandandola in manutenzione, riceviamo pace, conforto e una gioia profonda; il prezzo? Essere disposti a perdere tutto, con la certezza che quando chiami, qualcuno risponde. E la nostra bellissima storia d’amore con la vita, difficile e drammatica che sia, finisce sempre bene se l’anima è la garanzia.

Adesso continuiamo ad affrontare questo viaggio con distanza, silenzio e rispetto per le vittime e le loro famiglie; con preghiera, coraggio e determinazione senza abbassare mai la guardia; con fiducia nella sanità e nella ricerca. Nel suo piccolo, ognuno potrà fare la differenza con una donazione per la ricerca, le strutture ospedaliere e il comparto sanitario.

ECCOMI PUGLIA” ALESSANDRA AMOROSO

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