LECCE (di Pierpaolo Sergio) – La Giustizia, iconograficamente, è rappresentata bendata a simboleggiare l’imparzialità nei confronti di chiunque venga sottoposto ad un giudizio. Si tratta di un’immagine mutuata dalla mitologia greca. Tuttavia, per la Giustizia Sportiva quando applicata nei confronti dell’U.S. Lecce, una benda davanti agli occhi pare spesso esserci davvero, ma per non far vedere la realtà a chi è chiamato a risolvere vari casi.
L’ultimo in ordine di tempo è accaduto oggi e si riferisce al respingimento del reclamo presentato dalla società giallorossa contro la squalifica per 2 giornate e la multa di ben 10.000 Euro inflitte al calciatore giallorosso Gianluca Lapadula dopo l’espulsione comminata dall’arbitro Mariani di Roma nel match contro il Cagliari, alla pari del portiere avversario Olsen.
Quanto esposto trae convinzione dagli altri casi che hanno visto protagonista, suo malgrado, la squadra salentina in questa stagione del ritorno in Serie A dopo 7 anni di “assenza forzata“. Nonostante la dimostrazione di signorilità e senso di responsabilità del presidente Saverio Sticchi Damiani che ha preferito cercare soluzioni a garanzia di tutti e 20 i club di massima divisione dopo il caso-Olimpico, il Lecce non ottiene quanto legittimo e sperato.
Qui non si tratta di fare inutili piagnistei o di voler passare ad ogni costo per vittime. Quando si riesce a confutare la realtà delle immagini televisive, come nel caso della zuffa tra Olsen e Lapadula, significa che davvero non si vuol vedere e giudicare equamente una situazione in cui già un turno di stop è parsa sanzione fin troppo severa per il tesserato del sodalizio giallorosso.
La Corte Federale di Appello che ha respinto il ricorso della società salentina si è basata sulla solita acquisizione del referto arbitrale in cui è stato riportato che Lapadula era stato espulso “per avere, al 38° del secondo tempo, a giuoco fermo, dopo aver subito una spinta ed una spallata da un calciatore della squadra avversaria, colpito quest’ultimo con la testa all’altezza della bocca”. In realtà, si vede chiaramente il numero 9 giallorosso avvicinare soltanto il suo capo al viso di Olsen e non colpirlo mai con una testata. È invece lui a ricevere una manata ed una spallata che lo mandano a terra e richiedono l’ingresso in campo dei sanitari per i soccorsi.
Senza elencare tutti gli altri episodi in cui il Lecce è stato maltrattato in questo primo scorcio di campionato, basti ricordare quanto accaduto in Lecce-Napoli (rigore di Insigne fatto ripetere da Piccinini perché Gabriel si era mosso in anticipo, ma non fatto ricalciare una terza volta per l’ingresso in area di alcuni giocatori partenopei), Lazio-Lecce col pretesto del “protocollo VAR” accampato dal designatore Nicola Rizzoli per giustificare l’operato dall’arbitro Manganiello (gol annullato a Lapadula che aveva ribadito in rete un rigore respinto da Strakosha a Babacar ma con almeno 3 laziali in area), salvo poi ammettere che il penalty era da ripetere, oppure i due rigori non concessi contro la Fiorentina (falli solari di Caceres su Farias e Dalbert su Shakhov non fischiati ancora da Piccinini ed ignorati dal VAR). Ora si aggiunge l’ultima beffa con il caso Lapadula.
Ecco allora che ci chiediamo se e quanto davvero paghi mantenere un profilo basso e non alzare la voce nelle opportune sedi, magari davanti le “potenti” telecamere delle TV nazionali, in cui si fa spesso il bello e il cattivo tempo commentando le partite della squadra leccese. La questione non è certo nuova e le battaglie per ottenere rispetto e giustizia combattute in anni caldi da altri presidenti sanguigni e poco propensi alle prese in giro come Franco Jurlano confermano il noto aforisma andreottiano secondo cui “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca…“