LECCE (di Italo Aromolo) – Il dibattito sull’immigrazione sarebbe degno della più alta e perfetta forma di società politica, tanto è il fervore che gli italiani infondono in ogni discussione sul tema. Accoglienza e umanità contro diversità e priorità sono i principi tirati in ballo in quella che si configura come una più ampia riflessione sul genere umano e la sua innata inclinazione per l’altro. Riflessione che, come per tutti i macro-fenomeni, parte da una quota di distorsione nella percezione della realtà: parliamo del nesso tra flussi migratori in entrata e malattie infettive, in particolare la tubercolosi.

I dati del Ministero della Salute indicano che in Italia la tubercolosi è molto più frequente tra gli immigrati. In particolare, un cittadino straniero (nato all’estero residente) ha un rischio 7 volte maggiore di un italiano di avere la malattia tubercolare. Nel 2016 sono stati diagnosticati 4.032 di tubercolosi in Italia e, di questi, ben 2.419 si sono registrati tra gli immigrati, ovvero oltre il 50% a fronte di una frazione dell’8,3% rispetto alla popolazione generale. La tubercolosi è dunque un problema molto rilevante tra gli stranieri, verso i quali un’attenzione particolare in termini di sorveglianza da parte del sistema sanitario è d’obbligo.

Troncando qui la nostra analisi, il “bufalaro” di professione avrebbe materiale a sufficienza per confezionare la panzana: gli immigrati, principali untori della malattia, sarebbero una temibile minaccia per la salute pubblica. Questa è una conclusione errata e semplicistica, che merita un ulteriore approfondimento per essere smentita.

Il presupposto di partenza è che la tubercolosi è una malattia trasmissibile per via aerea, ovvero attraverso le secrezioni respiratorie prodotte, per esempio, durante la tosse. Ma per farlo richiede particolari condizioni ambientali: una scarsa igiene, il sovraffollamento in luoghi chiusi, una forte malnutrizione o una depressione delle difese immunitarie. Solo così la malattia, normalmente latente e non contagiosa, può riattivarsi e il temibile batterio che la causa essere trasmesso agli altri.

In un paese sviluppato come l’Italia queste condizioni sono sempre più rare: per questo, nonostante negli ultimi dieci anni la popolazione straniera sia più che raddoppiata, l’incidenza della malattia nello stesso periodo si è nettamente ridotta sia nella totalità della popolazione italiana (-25%, da 8,1 a 6,6 infezioni ogni 100.000 persone all’anno) che tra gli stranieri (-37%, da 84,1 a 44,5).

Non esiste dunque alcuna epidemia che si possa collegare all’attuale picco di immigrazioni. Gli stranieri rimangono la principale fonte della patologia, ma allarmarsi in questo momento storico è un sentimento privo di fondamenta: la tubercolosi è controllata bene dal sistema sanitario e, anzi, anche meglio rispetto a una decina d’anni fa. Questo grazie ad alcune misure che sono state prese nel tempo, come l’esecuzione di test di screening in tutti gli stranieri provenienti da paesi ad alta prevalenza della malattia. Così vengono intercettati precocemente i malati, quando ancora non contagiosi, e messi in condizione di non trasmettere il batterio, attraverso delle campagne di informazione e prevenzione.

Un altro falso mito riguarda la tendenza a considerare la tubercolosi una malattia esclusiva del continente africano. È vero che l’incidenza della malattia nel Continente Nero è la più alta al mondo (254 infezioni ogni 100.000 persone all’anno), ma la distribuzione dei casi in Italia riflette quella della popolazione migrante in generale e quindi la maggior presenza di cinesi, filippini, indiani e bangladesi. Uno studio condotto in Emilia Romagna ha evidenziato che la maggioranza dei pazienti affetti stranieri proviene dall’Asia (39%) e solo il 27% dall’Africa.

 


ATTENZIONE: Le informazioni contenute in questo articolo sono presentate a solo scopo informativo. Non intendono in alcun modo sostituire il rapporto diretto medico-paziente. Si raccomanda di chiedere sempre il parere del proprio medico riguardo qualsiasi indicazione riportata.

Bibliografia:

I precedenti di “Miti&Salute:

Omeopatia, l’acqua che non disseta

Spinaci=ferro? No, tutta colpa di una virgola

Commenti

2 Commenti

Comments are closed.