roger-federer-australian-open-finalLECCE (di Filippo Simone) – È tutto vero. Roger Federer ha trionfato a Melbourne, battendo Rafa Nadal in una finale dal sapore nostalgico, che ha rievocato emozioni “antiche” nei cuori di tutti gli appassionati di questo sport ed in particolare dei fans dell’elvetico e dello spagnolo di Manacor, bestia nera di Federer.

È il diciottesimo sigillo, forse il più inatteso e per questo più bello. Non ha vinto solo una battaglia epica per intensità e classe, durata cinque set, ha fatto qualcosa di molto più grande. Ha battuto lo scetticismo di quei (pochi) detrattori che da anni aspettavano il momento del suo declino e lo ha fatto, tornando dopo sei mesi di inattività a causa di un infortunio al ginocchio, a trentacinque anni suonati ed un digiuno Slam che persisteva da Wimbledon 2012, nonostante le finali raggiunte sempre a Wimbledon nel 2014 e nel 2015, ed agli Us Open 2015. È sembrato quasi che il destino si stesse divertendo alle sue spalle, regalando l’illusione in questi anni di poter ancora trionfare su palcoscenici importanti.

Ha pianto, Roger Federer, tanto. Era incredibile vedere come, il tennista più forte di tutti i tempi, nonostante i suoi record e gli irripetibili successi, si dannasse maledettamente in quel rettangolo di gioco, come se sentisse il bisogno di dimostrare a tutti di essere ancora un vincente, misurandosi con le nuove generazioni e con un tennis in continua evoluzione, nutrendosi di quelle grandi emozioni che può regalarti un match, lottando come un leone anche contro la carta d’identità. Più che per i suoi successi, la gente si è innamorata di lui come uomo. Così forte in campo, a volte spavaldo in tutta la sua eleganza, orgoglioso, felice come un bambino per ogni suo successo, così fragile e indifeso ogniqualvolta è caduto.

Un talento sopraffino che è sbocciato nel momento più buio della sua vita, quando Roger giovane promessa del tennis, alternava ottimi risultati a rovinose sconfitte. “Sarà un eterno incompiuto, come tanti altri…” dicevano. La morte inaspettata del suo primo allenatore, Peter Carter, segnò una passaggio fondamentale della sua carriera. Si chiuse nel suo dolore, promettendo a Peter, che non avrebbe sperperato tutto il suo talento, ma che si sarebbe impegnato per diventare un grande campione. Da quel 1 agosto 2002 è nata una stella. Il ragazzino indisciplinato si è fatto uomo.

Da ogni storia si debba estrapolare un messaggio. Serve per crescere, proprio come ha fatto lui, arrivando ad essere il giocatore più vincente della storia del tennis. Federer, in una bellissima domenica mattina australiana, facendoci ammirare la sublime poesia del tennis, un messaggio ce l’ha regalato; proprio come fece Peter con lui quasi quindici anni fa. Mai abbattersi, coltivare le nostre passioni, il talento che alberga in ognuno di noi e crederci sempre, senza perdere il nostro preziosissimo tempo, perché con il duro lavoro, il cuore e la dedizione, nulla ci è precluso, anche quando dicono che siamo troppo vecchi, perché non è mai troppo tardi.

Grazie Roger.

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