LECCE (di Daniela D’Anna) – Lo Sport inteso come strumento di pace e concordia è il paradigma di Olimpiadi e Paralimpiadi. Queste ultime sono appena terminate ma la loro eco è profonda. Si può ben dire che rappresentano l’orgoglio umano poiché superano ogni steccato, ogni razzismo, ogni barriera geografica e fisica… I Giochi olimpici affondano le loro endemiche radici nell’Antica Grecia dove le guerre erano sospese da una tregua proprio per permetterne lo svolgimento. Ciò fa capire l’importanza rivestita dallo sport in quel tempo, mezzo vitale da contrapporre alla barbarie dei conflitti per costruire un mondo migliore. Anche oggi, di fronte alle tante violenze a cui assistiamo, rappresenta un ponte di fratellanza tra le più disparate popolazioni. Papa Francesco, al proposito così si è espresso di recente:”Lo Sport si decentra da noi stessi e ci apre all’altro, crea relazioni, comunione e profonde emozioni”.
Aspetto fondamentale è la natura dello sport che è democratica, come afferma la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, che recita: “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti”. Ce lo ha dimostrato la trascorsa XV edizione dei Giochi estivi paralimpici, dedicati a sportivi con disabilità che si sono sfidati in 23 discipline; per un totale di 4.300 atleti provenienti da 176 Paesi del mondo che si sono poi dati appuntamento all’edizione di Tokyo nel 2020
Sia il “normale”, che il diversamente abile, hanno dato testimonianza di come l’umanità possa vincere se sorretta dalla volontà e dallo spirito di fratellanza, dal rispetto delle regole, dallo spirito di squadra, di lealtà e pace. Un esempio tangibile della globalizzazione, dell’integrazione del superamento dei limiti costituiti dai confini della razza, tornando indietro di circa un secolo, ci viene offerto da Jesse Owens, il formidabile atleta proveniente dall’Alabama, che compì un gesto epico nelle Olimpiadi di Berlino del 1936, quando consegnò al mondo una impresa e una traccia incancellabili nel tempo. L’atleta di colore, protagonista assoluto dei Giochi olimpici, strinse amicizia con il rivale Luz Long, atleta tedesco, nel rigido regime nazista dallo stesso selezionato per rimarcare la presunta superiorità della razza ariana. Un gesto che resta nella storia non solo delle Olimpiadi, ma che si arricchisce di significati di carattere sociologico.
Le storie di Sport e solidarietà, tra l’altro, hanno ispirato anche la fantasia di cronisti, come il giornalista salentino Beppe Longo nella sua ultima fatica letteraria “Braccialetti Nerobianchi”, in cui parla dell’amicizia ideale nata sul campo da gioco fra due atleti la cui diversità di razza viene immortalata propri nel nodo di due bracciali.
Ma facendo un’accurata disamina sull’argomento olimpico emerge una notevole caratteristica ludica; ciò permette l’apertura all’esigenza ineludibile dello spirito in un clima di gratuità, che sta a significare come l’uomo si liberi dalle “sovrastrutture esistenziali”, quali la corsa al successo ad ogni costo e la rincorsa verso l’accumulo di eccessivi beni materiali. Quindi, ben venga l’intrinseco ed “ancestrale” significato anche di celebrazione “religiosa” dello sport ed il rifiuto di tutto ciò che è antisportivo oppure offensivo per l’essenza umana che è portata, come si è visto a Rio de Janeiro, a superare se stessa.
È questa la valenza dell’antica Olimpia ma, per rimanere in tema con il sentimento di unione, di universalità e di pax tra esseri umani di diversa lingua, colore della pelle e fisicità che gareggiano, tornano alla memoria i celebri versi latini “Omnia vincit amor et nos cedamus amori”, ossia: “L’amore vince tutto, anche noi cediamo all’amore“; è una frase di Publio Virgilio Marone (Bucoliche)