bnleeLECCE (di Italo Aromolo) – Cosa non si fa per amore. Sono stati circa duecento gli stoici tifosi del Lecce che hanno deciso di seguire la squadra a Benevento, in una gara per certi versi già scritta e che aspettava solo di essere giocata per comandare la promozione dei campani in Serie B. Eppure la passione per questa maglia li ha mossi ad armarsi di biglietto e partire, sfidando uno stadio intero, ricolmo in ogni ordine di posto. Ma un conto è farlo dal settore ospiti, insieme ai propri compagni di tifo con i quali cantare, esultare e piangere insieme. Tutt’altro farlo in silenzio, seduto al proprio seggiolino e circondato da tifosi avversari che cantano per novanta minuti contro la tua fede. E’ questa la storia di Antonio, Mario e Francesco, tre tifosi giallorossi che domenica scorsa hanno vissuto la sconfitta per 3-0 del Lecce sui gradoni del settore distinti, “in incognito” tra migliaia e migliaia di beneventani in festa per lo storico traguardo. Ci hanno raccontato emozioni e sensazioni di una partita che difficilmente dimenticheranno.

imageSapevamo a cosa andavamo incontro” – inizia Antonio – “ma al momento di entrare nello stadio la prima sensazione è stata negativa. Un’ora e un quarto prima si faceva difficoltà anche a trovare un posto, c’era tutta Benevento sugli spalti e la poca, approssimativa, organizzazione ha contribuito ad alimentare la festa. Nessun controllo di posto, molti dei quali non numerati: lo sbaraglio dell’organizzazione di chi era alle prese con la B per la prima volta. Dopo che ci siamo acclimatati, il palo di Lepore è stato il momento migliore, poi i loro gol ci hanno riportato sulla terra e una marmaglia di beneventani attorno ce lo ha “ricordato” continuamente; alla terza rete tutto il pubblico ha iniziato a saltare. Ma quello che più di tutto mi ha infastidito è stato il continuo carattere canzonatorio dei loro cori: dopo dieci minuti del secondo tempo, invece di aumentare l’impegno della mia squadra, aumentavano solo queste canzonature. Agli “olè” sui passaggi non sono stato più in me, avrei potuto non stare all’insulto e reagire, e mi son detto che non volevo più stare là in mezzo; quando sono troppo coinvolto, non riesco più a vedere le partite. Mi ha preso una grande sensazione di aver sbagliato tutto. Abbiamo abbandonato lo stadio e, non bastasse, ci hanno indirizzato verso il centro di Benevento. Rimanere imbottigliati in un’altra festa, dopo quella di Frosinone, questo no… Ad ogni modo, vorrei sottolineare la civiltà dei beneventani, si saranno sicuramente accorti della nostra fede e, nonostante questo, abbiamo potuto guardare la partita in tranquillità. La vittoria è meritata e auguro un buon campionato al Benevento, ma per la Serie B si aggiornino sull’organizzazione e l’ordine pubblico…”.

Quando ti sfugge il giocattolo preferito dalle mani e lo vedi nelle mani di un’altra persona la delusione è tanta” – racconta Mario – “e a Benevento questo è stato amplificato dall’andamento della partita. Si è aggiunta tanta rabbia e un po’ di umiliazione per come si sono comportati i tifosi attorno a noi. E cioè pensando più a denigrare gli avversari, senza tra l’altro alcun motivo specifico pregresso, che a sostenere la propria squadra in modo concreto e organizzato. Un comportamento da tifoseria non del tutto matura e un po’ occasionale, che forse non è abituata a palcoscenici del genere”.

Francesco ci aveva creduto: “Siamo partiti da Lecce con i presupposti più ottimistici, sperando di essere riusciti a invertire la rotta dopo le ultime partite. E i primi minuti ci avevano pure illuso, con il palo di Lepore, ma gli avversari erano obiettivamente più forti e lo hanno dimostrato, spinti da uno stadio in festa continua. E’ stata una sofferenza, in mezzo a tutti quei beneventani, soprattutto se pensiamo che partivamo con una certa prospettiva di trionfo. Ha prevalso la loro maggior convinzione e fiducia nei propri mezzi. Al di là della goliardia, i loro tifosi si sono comportati da “signori”, trattandoci come se non esistessimo, forse proprio perchè consapevoli di essere più forti. Il viaggio di ritorno è stato triste, ma arrivati a destinazione ci siamo lasciati con una certezza, più che una battuta: “Li incontreremo ancora… l’anno prossimo!”.

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