LECCE (di Giovanni Costantini) – Dobbiamo al barone Pierre de Coubertin e alla sua ferma determinazione la nascita dei Giochi olimpici dell’era moderna nel 1896 ad Atene e si deve sempre a lui la pronuncia della storica frase “l’importante non è vincere ma partecipare”. Ebbene, a distanza di 120 anni da quello storico evento e da quella celebre frase che sicuramente ha segnato la storia dello sport, cosa resta del miglior spirito olimpico, del gesto sportivo-atletico, della sana competizione, dello scambio culturale tra nazioni e popoli diversi e della bellezza fisica e dell’amore per la cura della persona tutt’uno con la cura della propria anima?
Oggi è tutto maledettamente business e profitto. Il dio-denaro imperversa e impera salvo ricordarsi ad intermittenza e solo opportunisticamente di vaghi principi egualitaristici e di solidarietà propinati ad arte dai media, che in fondo poco hanno a che spartire con lo sport praticato a livello professionistico, se non nella misura del sacrosanto rispetto della dignità di ciascun essere umano.
Gli sponsor la fanno evidentemente ed inevitabilmente da padrone e la pressione sugli atleti, che pagati dai primi oltre che dalle federazioni, finisce per condizionare non poco il loro stato mentale, la loro serenità e le loro scelte tanto da indurli a commettere dei passi falsi e degli errori, tali da infrangere leggi e regolamenti.
Il caso di Alex Schwazer, l’atleta italiano campione olimpico della 50 km di marcia nel 2008 a Pechino, sospeso e poi squalificato fino ad aprile 2016, proprio alla vigilia delle olimpiadi di Londra del 2012, perché scoperto positivo ad un controllo antidoping per assunzione di Epo, è assolutamente emblematico. Simbolo “pulito” dello sport di maggior fatica e sacrificio, anche per tanti giovani, testimonial in una nota reclame, fidanzato con Carolina Kostner, anche lei poi sanzionata per averlo coperto, ma in questo caso solo per “amore”, ha rappresentato probabilmente una delle più cocenti delusioni che uno sportivo appassionato potesse subire. Resteranno soprattutto scolpite nella mente di tanti le lacrime di disperazione e di ammissione di responsabilità rese in conferenza stampa davanti alle telecamere, non più ahimè le sue imprese sportive.
Ed è di questi giorni, ma fa seguito ad una serie di altre segnalazione WADA (Agenzia mondiale antidoping), riguardante atleti di varie nazionalità, il caso del cosiddetto e ribattezzato Doping di Stato russo, con una (pare) spiccata propensione della Federazione ad occultare in ogni modo analisi di laboratorio e prove da cui si potesse risalire a risultati di positività a sostanze proibite.
Pur nelle evidenti e probabili responsabilità delle Autorità russe, tutte però fino in fondo da dimostrare, di questa torbida vicenda rischia di rimanere soltanto l’ennesimo caso diplomatico-politico, con sullo sfondo una guerra ormai mica tanto sotterranea, tra super potenze che con lo sport, le olimpiadi e l’Atletica leggera, nulla ma proprio nulla hanno a che vedere e con l’innocenza del motto decoubertiniano del partecipare, che è andato ormai definitivamente e letteralmente a farsi friggere.