LECCE (di Italo Aromolo) – Vi presentiamo Piero Braglia al di là degli elenchi di squadre allenate e dei tabellini che si susseguono in questi casi a destra ed a manca. Ve lo presentiamo nello stile e nel carattere, quelle qualità che per un leader vincente devono sempre prescindere dalle competenze tecnico-tattiche. Braglia sbarca sulla panchina del Lecce dopo una lunga carriera vissuta alla sua maniera, col coltello tra i denti e il sangue negli occhi. Non è un diplomatico come Alberto Bollini e nemmeno un eccentrico come Dino Pagliari: se lo si dovesse categorizzare in una specie di allenatore, non si farebbe peccato a inserirlo in quella dei “sanguigni”. E tutta un’aneddotica sulla sua storia lo conferma.
Piero Braglia vive le partite con il trascinamento emotivo di un tifoso, anche più. La sua squadra del cuore è quella che allena e la difende oltre le righe, perché mal tollera le ingiustizie e non nasconde quello che pensa. Così, quando alla guida della Juve Stabia si vide negati due rigori solari contro il Lanciano, protestò veementemente con l’arbitro e si guadagnò quasi 2 mesi di squalifica per ingiurie e spintonamenti nei suoi confronti. Nel video relativo a quella partita (clicca qui), si noti con quale fermezza si dirige fino a centrocampo per affrontare il direttore di gara e chiedere spiegazioni: i suoi collaboratori quasi fanno fatica a trattenerlo.
Solo un carattere forte e ruggente può avere certi slanci di agonismo, quell’ardore che si spera riesca a trasmettere ai ragazzi di cui ha appena ereditato il corpo ma soprattutto la mente. Come quando, nel secondo tempo di Novara-Juve Stabia, scoccò un bacio al pubblico di casa e alzò un eloquente dito medio in direzione della tribuna. “Ma il bacio era rivolto a mia moglie” – dichiarerà in seguito – “e sul dito medio smentisco categoricamente”. Tesi non convincente per il Giudice Sportivo, che gli comminò due giornate di squalifica confermate in appello. I suoi vulcanici atteggiamenti spesso lo hanno fatto finire sul libro nero del martedì mattina, in particolare nell’ultima stagione quando si è beccato per ben tre volte una squalifica con la stessa motivazione: “Comportamento offensivo nei confronti dell’assistente di gara”. È accaduto dopo Pisa-Grosseto, Atalanta-Pisa e Pisa-Pontedera.
Anche le sue dichiarazioni raramente producono banalità. L’accento tipicamente toscano lo aiuta ad aggiungere verve ad ogni parola pronunciata. Da lui aspettiamoci frasi del tipo: “Meglio che non parli, altrimenti mi squalificano a vita” o “Gli avversari hanno pensato esclusivamente a far scena”. Qualche assaggio di spontaneità già lo si è avuto nella conferenza di presentazione di martedì: “Attiro molte antipatie, perché dico sempre quello che penso. E se mi girano…”
In passato diverse volte ha dato materia prima alla carta stampata. Quando gli venne chiesto del mancato approdo sulla panchina della Salernitana, rispose con un pizzico di ironia ed un velo di polemica: “Sarà che non ho il carattere…” Altrettanto schietto e coraggioso nel bacchettare la piazza pisana a muso duro: “Attorno alla mia squadra c’è stupidità” o nel ripudiare senza troppi complimenti i suoi trascorsi da tecnico del Taranto: “A me del Taranto non frega assolutamente nulla. Ho solo preso soldi ed è stato il minimo. Avrei piacere a salutare un paio di persone e basta. Le altre? Se non le vedo sto meglio”.
Potremmo andare avanti ancora citando le accuse rivolte pubblicamente al presidente del Pisa: “Battini si circonda di certa gente che non capisce un c…zo di calcio. Se non apprezza il mio lavoro, sa benissimo cosa fare”. Ma forse può bastare una frase per riassumere Piero Braglia in tutto il suo essere personaggio: “Dicono che non sia adatto alla B, e tanto meno alla A? Me ne frego. Se devo mettermi in giacca e cravatta per andare avanti, non ci sto. Forse lo dicono perché ogni tanto mi faccio buttare fuori ma, comunque sia, io sono quello che sono e non scendo a compromessi con la mia coscienza”.