LECCE (di Italo Aromolo ed Eleonora Galati) – Il cibo è arte e, come ogni forma d’arte, dà un senso alla nostra vita. Scandisce i nostri ricordi, determina le nostre sensazioni. Il cibo è poesia, scultura, pittura e musica allo stesso tempo. Il cibo è viaggio, è paesaggio, è luogo. Sperimentiamo. Cos’è un rustico leccese in un piatto? È sfoglia. È Piazza Sant’Oronzo alle 11:00 di un mattino di luglio. È pezzi di briciole inondate dal sole che brucia sul fondo dell’anfiteatro. È besciamella, il flusso caldo della nostra gente che cerca l’ombra. È pomodoro, il Sedile che si fa largo tra i vari elementi della piazza. È pepe, la colonna che troneggia su ogni ingrediente della sua dimora.
Cos’è una frisa in una passeggiata sul mare? È sapore. Un crepitio dorato che illumina il giorno, è sole. Un po’ di sale che si poggia a decorarla, è brezza. Il pomodoro che la disegna, l’olio che la colora: un paesaggio bellissimo in riva alle onde.
Cos’è il cimitero? Tristezza, dolore, morte. Ma non sempre. È la dolcezza di una fanfullicchia, il sorriso di un bambino che la guarda, l’estasi dello zucchero che la compone, attorcigliandosi nelle sue forme gialle, rosse, blu e verdi. E non si offendano i cipressi.
Lo stadio, poi. Il “Via del Mare”, passione di una vita, gusto di una domenica insipida. Che sia dolce, amaro o salato non importa. La palla corre, l’acquolina sale. Cross. Il boccone è vicino, un “Borghetti” per favore. Stop al volo. Il “passatiempo” (seme di zucca tostato) è sgusciato. Tiro, gol! Mai stato così buono…
La forza, infine, trova suo completamento nella dolcezza, nella bellezza, nel pasticciotto. Un morso, uno soltanto di pastafrolla, separa dal Duomo. Solo un angolo e poi manca il respiro. Una crema densa di luci, da mangiare tutta d’un fiato. I bordi sottili, poco croccanti dei balconi, restano fermi a racchiudere un vento serale di piacere fatto di uova, farina e zucchero. Talvolta c’è gente nel Duomo, talvolta no, come l’aroma di limone. Ma le opere d’arte restano tali, anche senza dettagli. E quella in questione si conclude con un ultimo morso secco, uno sguardo alla chiesa, per poi deglutire compiaciuti dalla troppa sazietà di meraviglia.