LameziaLECCE (di Pierpaolo Sergio ed Italo Aromolo) – Si chiude con un viaggio a Lamezia Terme, nella vicina Calabria, la stagione 2014/2015 del Lecce e dei suoi tifosi che accompagnano in trasferta la compagine giallorossa. Un viaggio che ci ha portato alla scoperta o, in qualche caso, alla riscoperta di tante località e città variegate e tutte diversamente affascinanti, attraversando il Sud dell’Italia per conoscerne meglio meraviglie architettoniche, storiche, paesaggistiche e, perché no?, culinarie.

La storia: tra origini novecentesche e scismi del passato. Una breve passeggiata in città forse non stupirà per bellezze del passato e reperti storici, ma certamente esalterà le imponenti infrastrutture che ne dominano il paesaggio: l’aeroporto, i tre centri commerciali e l’area industriale più grande del Mezzogiorno (dopo quella di Bagnoli – Napoli) sono i segni di una terziarizzazione che appare quasi sproporzionata per un piccolo centro di 70mila abitanti come Lamezia. Le ragioni sono da trovare nella modernità tutta novecentesca intrinsecamente iscritta alla città: Lamezia, uno dei comuni italiani di più recente fondazione, nasce nel 1968 dall’unione amministrativa di tre agglomerati fino ad allora indipendenti: Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia Lamezia. Pur non avendo perso peculiarità e tradizioni specifiche, i tre centri si sono perfettamente integrati grazie all’espansione urbanistica e, ad oggi, si possono ritenere quartieri distinti del grande borgo in cui sono confluiti. La storia della città – salvo qualche recente evento di cronaca, come lo scioglimento del Consiglio Comunale a causa di infiltrazioni mafiose nel 2002 o la visita di Papa Benedetto XVI nel 2011, si identifica in gran parte con le vicende dei tre comuni antecedenti alla fusione. L’etimologia dei toponimi ci viene in aiuto: Nicastro, che nel tempo ha mantenuto una vocazione prevalentemente commerciale, ha origine nel X secolo come “neo castrum” (“nuovo accampamento”) dai dominatori bizantini; Sambiase, centro a carattere agricolo nonché sede delle celebri terme, nasce nello stesso periodo attorno al monastero di San Biagio; Sant’Eufemia Lamezia, invece, prende il nome dalla vasta pianura che costituisce il letto geologico nel quale è accolta l’intera città (la “Piana di Sant’Eufemia”). Il termine Lamezia, infine, è un calco del fiume che l’attraversa, attualmente chiamato Amato ma precedentemente sotto il nome di “Lametos”.

Lamezia Bastione di Malta
Il Bastione di Malta

Le testimonianze artistiche. A caratterizzare nei secoli passati la storia degli originari tre centri c’è stata la dominazione normanna e bizantina. L’architettura militare ha avuto un notevole ruolo nelle vicende di Lamezia. Per fronteggiare le ricorrenti incursione dei saraceni, nel 1550 si eresse il cosiddetto “Bastione di Malta“, una torre di fortificazione che compare stilizzata anche nello stemma della Città di Lamezia Terme. Se i bizantini hanno influenzato la crescita di Nicastro, i Normanni ebbero preponderanza nello sviluppo di Sant’Eufemia. E così, è stata sede di un baliaggio assegnato all’ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, oggi noto come Sovrano militare ordine di Malta. In seguito al disastroso terremoto del 1638, che aveva visto la città come suo epicentro, un nuovo centro, quello di Sant’Eufemia del Golfo (oggi Sent’Eufemia Vetere), venne fondato in una limitrofa zona collinare. Con la fine del baliaggio il territorio di Sant’Eufemia entrò a far parte del comune di Gizzeria, il quartiere odierno fu costruito invece durante il periodo fascista. Secondo una tradizione locale, Nicastro, il quartiere più popoloso di Lamezia, sarebbe una delle città più antiche d’Italia fondata da Askenaz, pronipote di Noè, che dall’Armenia si sarebbe spostato in Calabria e fu abitata da Ausoni ed Enotri. La città è stata identificata anche con l’antica Numistra, per questo motivo la via principale della città è stata chiamata Corso Numistrano. Infine Sambiase, il cui nome deriva da San Biagio, nel corso degli anni ha visto numerose chiese venir costruite all’interno della città. Delle tredici originarie, però, ne restano in piedi solo cinque, mentre le altre sono andate distrutte o trasformate in abitazioni o negozi commerciali. Già prima in epoca romana con il nome di Due Torri, Sambiase era conosciuta come meta turistica per le terme, chiamate allora Aquae Angae, di origini magno-greche. Durante il periodo ellenico nel sud Italia e nell’attuale territorio di Lamezia Terme precisamente a Sambiase si insediarono la cittadella di Melea e parte della città di Terina. Di questa civiltà sono rimaste poche tracce, solo un mosaico di una villa greca nella Chiesa della Beata Vergine del Carmine, delle monete terinesi a Caronte ed il tesoretto di Acquafredda (entrambe frazioni di Lamezia Terme), conservate nel museo archeologico lametino.

La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo
La cattedrale dei Santi Pietro e Paolo

Tra le chiese degne di essere visitate ed ammirate troviamo la Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo (Lamezia Terme), la Chiesa di San Pancrazio (Sambiase) e la Chiesa del Carmine (Lamezia Terme).

L’enogastronomia: il pesce tra le specialità. L’arte del cibo ha nei piatti a base di pesce la sua specialità. Le coste di Lamezia, città sita a pochi chilometri dal mare, diventano un’appetibile meta pescosa nei mesi estivi, quando nei suoi bassi fondali si possono facilmente catturare i cosiddetti “surici”. Si tratta di piccoli pesci dalla forma piatta, conosciuti al di fuori della Calabria come “pesci pettine” o “pesci rasoio”, che si prestano particolarmente ad essere cucinati alla griglia per la loro carne bianca, soda ed al tempo stesso molto delicata. Non solo la cucina ittica, ma anche la carne bovina ed altri prodotti dell’agricoltura rientrano tra i piatti tipici: impossibile non assaggiare il “morzheddu”, autentico simbolo culinario dell’intera provincia di Catanzaro. Piatto a base di carne dalla antichissima origine, che in italiano è definito “morzello” si prepara con le interiora del vitello (cuore, milza, fegato, polmoni) condite con sugo e speziate con origano e alloro. La leggenda racconta che il “morzheddu” nacque per idea di una serva che, nell’ottica di alleggerire le spese della famiglia per cui lavorava, concepì questo “minestrone di carne” per non sprecare alcun residuo del vitello che cucinava.

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