primo-ebook-di-calcio-romantico-L-zVnkP_LECCE (di Carmen Tommasi) – Lacrime di gioia, abbracci improvvisi, urla trattenute in gola, la sciarpa legata stretta al collo, il gol mancato, i riflettori che illuminano lo stadio, le telecamere che inquadrano la panchina, il sudore e l’arbitro che fischia con severità il calcio d’inizio. Perché c’è la voglia di vincere ancora, di esultare per l’ennesima volta, di portare a casa i tre punti, di tirare un calcio contro qualsiasi cosa, che di violento non ha proprio nulla, per stemperare la tensione dopo un match vinto quasi per miracolo.

La traversa colpita dal giocatore di turno a partita quasi finita, il diagonale di destro spedito di poco a lato, il rigore non fischiato, la querelle se c’era o non c’era, le discussioni da bar, la moviola che a volte resta comunque poco chiara e la rabbia infinita per aver perso lo scontro diretto proprio all’ultimo minuto del tempo di recupero, con un gol su palla inattiva messo a segno da un giocatore che si è sbloccato dopo esattamente 38 giorni di digiuno.

Il bambino sugli spalti con addosso la maglia autografata dal proprio giocatore-idolo, il padre che lo tiene stretto tra le braccia, il piccolo che trema per il freddo invernale, la mamma che chiama da casa e l’improvviso salto quasi verso il cielo per gioire, magari con accanto un perfetto sconosciuto, per quel gol arrivato nel peggior momento della partita della squadra del cuore. “Papi, chi ha segnato?” urla il piccoletto, il padre sorride e aspetta qualche secondo prima di rispondere perché era distratto e non lo sa nemmeno lui.

L’infortunio al legamento crociato del  ginocchio destro che costerà più di sei mesi di stop al difensore centrale portante della difesa, la ricerca di un degno sostituto, che forse non sarà mai tale, nel mercato di riparazione di gennaio per cercare di rendere il reparto arretrato comunque competitivo e la speranza che il calciatore titolare torni presto in campo e ancora più forte di prima.

I saluti, gli addii, le voci insistenti di calciomercato in entrata ed in uscita, le valigie sempre pronte, il colore di maglia che da un giorno all’altro cambia e la domenica successiva magari si incontra proprio gli ex compagni di squadra. Gli armadietti svuotati improvvisamente che il giorno dopo saranno riempiti dal nuovo acquisto di turno, alcuni saluti che sono solo degli arrivederci e altri addii che fanno male. Definitivi. Le lacrime nascoste in una firma di un nuovo contratto triennale che sfociano in una nuova emozione quando si ritorna da ex in quella città che si è amata tanto e in cui è nato il proprio figlio, il primogenito.

lecce, leccezionale.itEh sì, abbiamo fantasticato per non smettere di ricordare che il calcio è ancora immensamente ed infinitamente romantico, nonostante le partite viste comodamente in tv al caldo, il giro d’affari miliardario, il calcioscommesse, le mancate bandiere e tutto il fango che, a volte, ruota attorno a questo mondo patinato. Sì il calcio è romantico: è fatto di abbracci, esultanze, sguardi complici, legami improvvisi e unioni prima insperate. Di culture e lingue di diverse che dialogano alla perfezione solo grazie ad un pallone tra i piedi, l’unico a parlare un linguaggio universale; non traducibile. Sì il calcio è romantico perché, come scrive lo scrittore Pierpaolo Gentili, “ riparte il coro, ancora una volta, come sempre, come tutte le volte. Tre minuti di recupero, centottanta secondi che sono una vita, la speranza che ritorna, indomita, fiera, castigata, invisibile. E riparte il coro, ancora una volta, come sempre, ma questo è l’ultimo, tutti lo sanno, tutti lo vedono, tutti lo sentono. Il pallone che viaggia, gli spicchi mescolarsi, illuminati dai riflettori, ricadere nell’area, quella piccola. Il numero otto la cattura, il sudore, le gocce di sudore scendono sugli occhi, allora si chiudono, si chiudono gli occhi e fa quello che mai farebbe, nessuno farebbe. Così, il tiro che parte. La curva è una bolgia”.  La curva esulta, si abbraccia e lo fa ancora un volta. E continuerà a farlo…

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