LECCE (di Italo Aromolo) – La bellezza del tifo sta in quel qualcosa di così potente e irrazionale che va oltre i cinque sensi per andare dritto, dritto ad imprimersi nel cuore. Non bisogna per forza guardare una partita di calcio per innamorarsi di una squadra: a volte basta semplicemente dare ascolto ai sentimenti, perché andare a tifare in curva è questione di cuore e nulla più. Davide Dongiovanni, da sempre tifosissimo del Lecce, non può vedere i colori giallorossi ma li segue con molta più passione di quanti guardano incuranti e passano avanti: è abbonato in Curva Nord – nonostante possa accedere gratuitamente al settore destinato ai disabili – e non si perde una gara casalinga del “suo” Lecce. Impegnato ai massimi livelli nel calcio a 5 per non vedenti (gioca come centrocampista nella società sportiva A.S.Cu.S. di Lecce e nella Nazionale italiana), ci ha raccontato come vive le partite allo stadio e tutto ciò che pensa sulle vicende della società giallorossa.
“Premesso che amo il Lecce e mi considero un tifoso vero, uno di quei quattromila che vanno ancora allo stadio e che quando tornano a casa dopo una sconfitta sono capaci di non mangiare per ore,”- dice Davide, 38 anni da compiere il prossimo 10 ottobre – “ seguo il Lecce praticamente da sempre, tanto che in molti mi accusano di viverlo in modo troppo viscerale. Ho la possibilità di andare allo stadio gratis nel settore dedicato ai disabili, ma non ci sono mai andato: la mia casa è la Curva Nord. Da quando avevo 16 anni, mi accompagnano allo stadio mio fratello e un caro amico: loro mi fanno la radiocronaca dettagliatissima di tutto ciò che succede in campo e così posso seguire piuttosto bene la partita. Anche se non mi siedo proprio in mezzo agli Ultrà, vivo l’atmosfera e l’essenza della curva a tutti gli effetti: quando voglio canto, salto, esulto. Una delle cose più belle che percepisco è quell’adrenalina che solo il tifo ti sa dare, insieme a quel senso di condivisione che, quando le cose vanno male, ci fa soffrire tutti insieme autenticamente, senza demagogia: ora che siamo rimasti in pochi in Curva, c’è un fortissimo senso di condivisione della sofferenza, per cui non devi spiegare niente a nessuno. Ci sono tanti segnali che mi fanno percepire l’andamento della gara: dall’esplosione di un petardo, al boato della curva, passando per i fischi che mi fanno rendere conto che stiamo soffrendo nella nostra metà campo o per gli incitamenti che vogliono dire che stiamo attaccando”.
La sua passione giallorossa ha origini antiche: “Ho l’abbonamento praticamente da sempre, e ringrazio mio padre per avermi indottrinato fin da giovanissimo contro i rinnegati e contro i baresi. Trasferte? Quando studiavo a Bologna ne facevo poche (di solito solo le gare col Bologna) ma avrei voluto farne molte di più: purtroppo, non è sempre facile trovare una persona disposta ad accompagnarti e a raccontarti la partita minuto per minuto. Sia chiaro che, ovviamente, ogni quindici giorni tornavo a Lecce per vedere le partite in casa”.
Quando si parla del Lecce di oggi, il Davide-pensiero è chiaro: “Devo dire grazie ai Tesoro che hanno salvato il Lecce da un qualcosa che non so che cosa potesse essere. Dove erano gli imprenditori leccesi due anni fa? E i politici? Non penso al passato: ringrazio di cuore i Semeraro, bisogna pentirsi di averli contestati perché a me, leccese, hanno garantito qualcosa che obiettivamente era al di là delle potenzialità di queste città. E chi me lo garantirà più? Guardo invece al presente e vedo che i Tesoro sono gli unici ad essere quanto meno venuti: possono aver fatto errori di inesperienza ma sempre in buona fede. Errori, sì, perché a mio avviso in Serie C una squadra non va costruita solo con l’etichetta del nome ma quest’ultima va messa in un contesto di gente che ha fame, che è giovane e che ha voglia di lottare. Il Lecce, essendo una squadra con l’età media avanzata, avrà qualche difficoltà in questo senso, come accaduto anche nelle ultime due stagioni. Se possiamo sopperire alla ‘vecchiaia’ con il maggior tasso tecnico? Il problema è che se arrivi prima sulla palla, la capacità tecnica la fai valere, ma se arrivi costantemente dopo, la palla non la prendi mai e la capacità tecnica…”
La sua analisi tecnica sui singoli calciatori del gruppo è precisa e puntuale: “Walter Lopez è il calciatore che apprezzo di più, un guerriero che non molla mai. Anche Bogliacino mi piace molto per il suo spirito di sacrificio: un grande professionista che non si è mai lamentato di nulla. Sia Della Rocca che Moscardelli non sono dei goleador da doppia cifra: con attaccanti come loro dovremmo avere esterni di centrocampo da 7-10 gol a stagione e invece Doumbia sappiamo tutti non essere un esterno che garantisce molte reti. Io avrei preso un attaccante che dà garanzie come Felice Evacuo: quel criminale di cui ha parlato il presidente alla fine della scorsa stagione. Mannini non mi entusiasma, mentre Filipe Gomes è il regista che ci mancava: Salvi e Papini sono due grandissimi distruttori di gioco, forse stanno anche imparando a costruirlo ma non è certamente nel loro DNA, invece Filipe darà una gran mano in fase di costruzione della manovra”.
In chiusura, due battute sui tifosi salentini e sul pubblico del “Via del Mare”: “Come pubblico leccese, dobbiamo difendere il patrimonio del calcio a Lecce: un insieme di sensazioni e sentimenti che altre città si sognano. Per storia e blasone non possiamo stare nell’inferno della Serie C a giocare con squadrette come la Vigor Lamezia o il Melfi. Certo che, al di là della categoria, potremmo essere un po’ di più allo stadio: non dico 20mila ma almeno 7-8 mila. Anche in Serie A c’erano certe partite-salvezza dove eravamo 3-4 mila, ma è proprio questa la certezza: cioè quelle poche migliaia di spettatori che allo stadio sempre ci sono state e sempre ci saranno, dalla Serie A alla Serie D. Io io mi sento un tifoso autentico perché faccio orgogliosamente parte di quei quattromila: loro, il Lecce, non li perderà mai”.