PartiteLECCE (di Italo Aromolo) – Scagli la prima pietra chi abbia mai sentito un bambino dire “Papà, da grande voglio fare l’arbitro!” Nessuno alzerebbe un dito: nell’immaginario collettivo dello sport più bello del mondo, la figura dell’arbitro riveste un ruolo di assoluta marginalità rispetto alla popolarità di cui godono grandi totem come calciatori, allenatori e dirigenti. Schiva, quasi invisibile, poco avvezza ai riflettori e scarsamente remunerativa, la vita del fischietto è ben diversa dalla cuccagna in cui vivono gli altri protagonisti del mondo pallonaro: l’arbitro non ha una settimana intera per preparare una partita, ma è chiamato in frazioni di secondo a prendere decisioni di importanza vitale per qualunque cosa o persona graviti attorno al risultato di una partita di calcio (ed il Lecce ne sa qualcosa…)

Non viene celebrato a livello planetario per un gesto tecnico, ma si merita le prime pagine dei giornali solo quando sbaglia e mai quando “ha fatto solo il proprio dovere”. Matricolato in pochi istanti da infallibile computer a “cornuto”, “venduto”, o, per i più fini, “dodicesimo uomo in campo”, l’arbitro non ha un intero pubblico che lo supporta, ma, al contrario, è l’unico in campo per cui nessuno fa il tifo.

Coppa Italia, leccezionale.itIn quest’ottica, l’inchiesta de Leccezionale.it vuole presentare la classe arbitrale da un punto di vista differente da quella che è l’ormai stereotipata visione del tifoso: potrebbe essere non solo un modo per stemperare le ritornevoli tensioni da “caccia alle streghe” che accompagnano immancabilmente ogni finale di campionato, ma anche l’occasione per stimolare la curiosità tanto nel semplice appassionato, quanto nella giovane leva che voglia avviarsi alla professione più contestata d’Italia. In questa prima puntata, andremo a scoprire dall’interno abitudini, regole, aneddoti e curiosità del mestiere, mentre in una prossima seconda ascolteremo la testimonianza diretta di un importante arbitro che ha calcato i campi del professionismo.

La settimana tipo: quanta fatica tra allenamenti e raduni. La professione di arbitro richiede un coinvolgimento a 360° da parte di chi fischia ad alti livelli: dedicandosi a tempo pieno alla divisa, il parrucchiere Tagliavento o l’elettricista Orsato ricevono un compenso a partita che oscilla dai 3.500 euro per la Serie A, ai 1.750 per la Serie B, con picchi di 10mila per la Champions League e 30mila per i Mondiali (i guardalinee guadagnano l’esatta metà dei loro colleghi, mentre l’arbitro di porta si ferma al migliaio scarso; a queste cifre si sommano anche cospicue quote relative ai diritti di immagine, oltre alla possibilità di assistere gratuitamente alle partite organizzata dalla FIGC nel territorio nazionale).

Chiamati a percorrere decine di chilometri in una partita (corrono in media tra i 10 e i 12 chilometri a partita, circa 3-4 in più di un qualsiasi calciatore), gli arbitri hanno la prerogativa di mantenersi impeccabili dal punto di vista fisico: per evitare che in partita arrivino del tutto esausti al più classico dei contropiedi last-minute, seguono un programma di allenamenti quotidiani (regolarmente retribuiti con circa 3000 euro al mese) che prevede anche l’assistenza di un preparatore atletico privato.

La settimana-tipo dell’arbitro, che vive principalmente di allenamenti in campo e di preparazione delle partite a casa (attraverso lo studio delle statistiche delle due squadre, la visualizzazione di specifici filmati o la consulenza con altri colleghi), prosegue a ritmi serrati con il raduno collettivo nel quartier generale di Coverciano. Una volta ogni due settimane (ogni mese per i fischietti di Lega Pro), le “giacchette nere” si riuniscono in ritiro per tre giorni (dal giovedì al sabato): l’obiettivo è non solo quello di migliorare le performance atletiche o di discutere particolari situazioni di gioco alla moviola, ma anche e soprattutto di cimentare uno spirito di gruppo che pure è fondamentale in quella che potremmo definire come la “terza squadra” in campo. Al termine dei raduni, che sono spesso occasione di test regolamentari e fisici (test dello Yo-Yo e test di Cooper), i direttori di gara si dirigono verso le rispettive destinazioni domenicali, dove, la sera prima della partita, un ferreo regolamento vieta loro di poter uscire dai rispettivi alloggi al fine di mantenere la giusta concentrazione.

referto arbitroLa partita. Dal briefing al riconoscimento: e al momento del referto… Un momento cruciale del pre-gara è la consuetudine del “briefing”, un breve summit in cui arbitro e guardalinee (che per una curiosa disposizione regolamentare devono arrivare allo stadio nella stessa autovettura) concordano le strategie operative da adottare in partita: segnalazioni particolari (con quali gesti il guardalinee può comunicare se un fallo è dentro o fuori dall’area?) e priorità decisionali (può il guardalinee alzare la bandierina senza l’ok dell’arbitro?) sono al centro di un momento di confronto di assoluta necessità per il buon esito dell’arbitraggio, soprattutto in caso di terna inedita. Dopo essersi assicurato di tutte le procedure burocratiche del caso (colori delle maglie, perlustrazione del campo etc..), l’arbitro entra nello spogliatoio delle due squadre e ha il primo contatto con i calciatori: è il cosiddetto riconoscimento, una sorta di appello con cui verifica la presenza di tutti i convocati risultanti nella distinta. Minacce da parte di una delle due squadre? Esiste uno specifico strumento del regolamento, detto “gara pro forma”, che consente all’arbitro di dirigere comunque la gara secondo le volontà intimidatorie, salvo successivo invalidamento della stessa.

Con l’avvio delle ostilità, la terna arbitrale inizia a giocare la “sua” partita: l’arbitro deve tenere sotto controllo nello stesso istante un infinità di variabili, che vanno dal corretto modo di correre (sulle punte per motivi estetici e in diagonale guardando verso destra per avere sempre un contatto visivo con l’assistente), alla valutazione delle più complesse situazioni regolamentari (applicare al momento giusto ciascuno dei 54 articoli) e tecnico-tattiche (nel caso del calcio di punizione, ad esempio, controllare simultaneamente la distanza della barriera e il mucchione in area). Il tutto, sotto l’occhio scrupoloso dell’osservatore di campo: si tratta di un inviato federale, di solito un ex arbitro, che ha il solo compito di valutare l’operato dell’arbitro secondo i criteri di personalità, preparazione atletica e gestione comportamentale/disciplinare con una scala di giudizio che oscilla tra il 7,80 a il 9,00. Al triplice fischio finale, l’oramai famigerata rule of the rule dei microfoni banditi si aggiunge alla zavorra dei social network: un solo tweet stroncherebbe la più florida delle carriere arbitrali (i profili attualmente esistenti sono gestiti da altri).

Giudice sportivoQuando poche ore dopo il match gli altri divi del calcio sono già comodamente a riposo, l’arbitro è ancora al lavoro per rendere conto di un altro step delicato come la compilazione del referto: è il “film” della partita su cui il Giudice Sportivo si baserà in esclusiva per irrogare multe, squalifiche e quant’altro. Perciò, nel redigere lo spauracchio del “proferiva le seguenti parole:…” diventa fondamentale calibrare al millimetro ogni parola: un aggettivo in più o una virgola in meno possono alterare fortemente il responso del Giudice.

Gerarchia e progressione di carriera: la promozione è in base ai voti. Chiudiamo la nostra inchiesta con qualche cenno su quella che è l’organizzazione del sistema arbitrale. I giovani aspiranti Collina – purché di età superiore ai 15 anni – possono iscriversi in forma del tutto gratuita ai corsi di formazione organizzati dall’AIA nelle varie sezioni locali. Una volta superato l’esame finale e conseguita la tessera federale, la strada degli arbitri alle prime armi diventa del tutto analoga a quella dei calciatori in erba che partendo dai dilettanti sognano di arrivare nel calcio che conta; la loro ascesa degli Esordienti in su passa soprattutto per quelle valutazioni (come detto dal 7,80 al 9,00) in base alla cui media stagionale la sezione di competenza può optare per la promozione nella categoria superiore. Come a scuola, una media voto finale nettamente al ribasso è il preludio del benservito definitivo (non esistendo “retrocessioni” nel mondo arbitrale, per benservito intendiamo la sospensione dell’attività). E’ interessante notare come la stragrande maggioranza dei guardalinee siano in realtà proprio ex arbitri che, essendo stati privati del fischietto per scarso rendimento, hanno “ripiegato” sulla bandierina dopo aver seguito anche in questo caso uno specifico corso di preparazione.

libro RosettiIl libro: “Nessuno parla dell’arbitro”. Per chi volesse andare oltre questa breve inchiesta cercando di approfondire ancora di più i “segreti” della classe arbitrale, consigliamo la lettura del libro “Nessuno parla dell’arbitro”, autobiografia di uno dei più grandi fischietti italiani di sempre, ossia il torinese Roberto Rosetti.

L’ex arbitro internazionale racconta in 189 pagine la sua quasi ventennale carriera tra rivelazioni, sentimenti, aneddoti e curiosità. Una carriera ricchissima di soddisfazioni (nel 2008 è stato nominato miglior arbitro mondiale) ma bruscamente stroncata a 42 anni per la mancata segnalazione di un fuorigioco a Tevez nell’ottavo di finale Argentina-Messico degli ultimi mondiali in Sud Africa.

Un fuorigioco sbagliato, una carriera compromessa: è proprio dura la vita da arbitro…

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