LECCE (di Italo Aromolo) – Un Inferno da cui fuggire. Scagli la prima pietra chi al 30° minuto di Lecce-Cremonese, prima giornata dello scorso campionato, quando Ledian Memushaj siglava il 3-0, avrebbe immaginato la grigia ed incerta situazione che in questo momento a Lecce inquieta tifosi, società e calciatori: la Lega Pro doveva essere una breve battuta d’arresto nella gloriosa storia del club giallorosso; invece, dopo oltre un anno, rischia invece di diventare un incubo senza fine, un pantano di sabbie mobili nel quale, per almeno 10 motivi, potrebbero essere inghiottiti la passione, l’entusiasmo e la voglia di grande calcio del tifo salentino.

Pochi introiti economici. La Lega Pro produce economicamente molto poco, con un giro di soldi davvero modesto rispetto ai miliardi della Serie A e ai milioni della Serie B: i ricavi provenienti dalla vendita dei diritti tv sono solo l’1% dei guadagni delle serie maggiori. Basti pensare allo stesso Lecce, i cui diritti tv per le partite in trasferta sono costati a TeleRama la cifra, quasi irrisoria, di 40.000 euro. Ne consegue un pericoloso impoverimento delle società, con rischio fallimento (vedi i casi Foggia e Taranto), o con campagne acquisti al risparmio ( Savino Tesoro ha dichiarato recentemente di aver speso in questa sessione di mercato solo 150.000 euro nella voce “calciatori”, impostando il rafforzamento della squadra soprattutto su prestiti, svincolati o acquisti a costo zero).

Assenza di coperture radiovisive. E’ innegabile che, per quanto le pay tv possano essere definite a buon ragione la rovina del calcio da stadio, e per quanto sia apprezzato lo sforzo fatto dal presidente di TeleRama, Paolo Pagliaro, per garantire una parziale copertura televisiva delle gare del Lecce, è un disagio di non poco conto non avere una trasmissione in radio di tutte le partite del Lecce, sia in casa che in trasferta, anche a livello nazionale: il problema si pone quasi esclusivamente per gli studenti e i lavoratori fuori sede, oltre che per chi, pur vivendo a Lecce, può essere impossibilitato ad andare allo stadio.

Progressiva riduzione della qualità della rosa. I mancati ricavi economici influiscono anche sul campo: quest’anno il divario tecnico tra il Lecce e le altre sembra essersi assottigliato, a seguito di alcune cessioni eccellenti e di acquisti discreti, risultato di un budget a disposizione fortemente limitato: restano pochi giocatori a garantire un surplus qualitativo, per il resto quella salentina è una rosa di categoria, con molti elementi che provengono dalla stessa Lega Pro. Il vantaggio di avere un quid in più rispetto alle altre pretendenti alla B rischia di essere rapidamente sperperato (se non lo è stato già fatto) a seguito di campagne trasferimenti fallimentari.

C’era una volta lo spettacolo. Il mediocre livello tecnico della Lega Pro ha pesanti conseguenze in termini di spettacolo: è difficile ricordare grandi giocate, reti in rovesciata e risultati pirotecnici in una categoria stracolma di squadre anguste attente esclusivamente alla fase difensiva e al rispetto della soglia dell’età media per ottenere le tanto agognate “quote-giovani”. L’ anno scorso, mentre in Serie B si segnavano 1146 gol, il girone A della Prima Divisione ne offriva solo 660: la Lega Pro è una categoria in cui regna sovrano l’“Under”, spesso accompagnato da noia e sbadigli.

Regolamenti a dir poco discutibili. A giugno il Lecce ha perso la Serie B pur chiudendo in classifica con 10 punti di vantaggio sul Carpi: un regolamento più flessibile ed intelligentemente pensato avrebbe stabilito un gap di punti oltre il quale non si sarebbero disputati i play-off. E il duo Macalli-Ghirelli non ha alcuna intenzione di modificare le carte in tavola, visti gli incassi degli ultimi play-off, la cui gestione e i cui ricavi erano quasi esclusivamente di competenza della Lega. Quest’anno appare assurdo che chi arrivi secondo – e il discorso vale anche per le altre sette squadre coinvolte nei play-off – debba disputare ben 5 partite per raggiungere la B: il 16% del campionato regolare, un nuovo torneo dunque, in cui le variabili del momento hanno troppo peso rispetto alla reale forza delle squadre. L’anno prossimo, con la nuova formula dei tre gironi, è assolutamente un’incognita: se è vero che la “spalmatura” delle big dovrebbe facilitare il compito di chi punta alla B, d’altra parte arrivare quarti potrebbe non bastare per accedere ai play-off, che comunque saranno una lotteria, con ben 8 squadre a contendersi l’unico posto disponibile per salire in Serie B. In dubio, pro promozione. Hic et nunc.

Uno scarso appeal. Il Pontedera ed il Viareggio non sono il Milan e la Juventus: molti tifosi, o pseudo-tali, si sono allontanati dalla squadra per mancanza di stimoli nell’affrontare squadre semi-sconosciute, i cui stadi hanno a stento tribune con più di cinque file di scalini e i cui calciatori fino all’anno precedente erano dilettanti; lo scarso appeal della Lega Pro è legato anche alla diminuzione degli spazi  pubblicitari al “Via Del Mare”, e ad un certo calo del valore del brand “Unione Sportiva Lecce”: il Lecce in Lega Pro non ha certamente lo stesso fascino che in Serie A, con tutte gli effetti che se ne deducono a livello di merchandising.

La perdita di entusiasmo in città. Strettamente connesso al precedente, sicuramente dei 10 motivi è il più preoccupante: l’entusiasmo a Lecce si sta spegnendo, i tifosi sono nauseati, e lo dimostrano i poco più di 2000 abbonamenti sottoscritti. Il calcio è tifo, gioia ed entusiasmo. Se muore il tifo, muore il calcio. Tra le cause di ciò non solo le confuse scelte societarie, ma anche il campionato incolore che il Lecce ha appena affrontato, un campionato quasi anonimo per le squadre affrontate e il gioco espresso. Sicuramente rimanere in Lega Pro non riporta i tifosi allo stadio, ma al contrario prolunga una lenta, deprimente agonia che potrebbe portare alla fine del calcio a Lecce.

Disagi tecnici e pratici: i nomi sulle maglie. Una serie di disagi tecnico-pratici rendono mediocre questa Lega, che ovviamente non può offrire qualitativamente lo stesso prodotto della Serie B, in ambito di organizzazione, d’informazione e in ogni altro aspetto riguardante il calcio giocato e non. Tra i tanti, uno dei più disagevoli è la mancanza dei nomi dei calciatori sulle maglie da gioco (può sembrare un dettaglio, ma non lo è): il tifoso medio spesso arriva a fine partita senza conoscere o identificare nemmeno uno dei calciatori avversari. Soprattutto nelle prime giornate, il problema, tra nuovi arrivati, improvvisi cambi di formazione e/o di numeri di maglia e speaker malfunzionanti, si presenta anche per gli stessi calciatori del Lecce.

Sempre favoriti, sempre sotto pressione. La sfida con una squadra dal grande blasone, come il Lecce, ricarica calciatori ed ambienti avversari: quando i salentini scendono in campo, soprattutto in trasferta, gli avversari danno il 110%, al tempo stesso galvanizzati e concentrati, e anche gli ambienti più freddi, come quelli di Salò o di San Marino, si infuocano. Anche per i calciatori giallorossi non è certo facile, sia a livello psicologico che tattico, giocare con l’obbligo di vittoria ogni partita. San Siro, Juventus Stadium, Olimpico: quanto manca quella frustrante sensazione di impotenza…

Un riscatto dalla gogna: il Lecce non vale la serie C. E’ un obbligo morale abbandonare questa categoria e tornare almeno in Serie B: il Lecce non vale la Lega Pro, in cui è stato catapultato a seguito di una giustizia sommaria. Il Lecce è degno di altri palcoscenici, e questo va dimostrato sul campo e sugli spalti per rispondere lealmente a chi ha slealmente infangato il nome della città, speculando sui vari casi Bari-Lecce, Lecce-Carpi e sull’acquisto di Miccoli. Il riscatto passa anche dalla promozione: Lecce città d’oro, non di fango, che merita, al punto di riconquistarlo subito, il grande calcio che le è stato ingiustamente sottratto.

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