LECCE (di Pierpaolo Sergio) – “Ogni limite ha una pazienza…” diceva il grande Totò. E la frase calza a pennello dopo la stangata comminata dal Giudice sportivo al Lecce per via del referto presentato dall’arbitro Lanza della sezione AIA di Nichelino, ma siculo di origine, che ha maramaldeggiato ai danni della formazione salentina in quel di Catanzaro. Cinque turni di stop al bomber Davide Moscardelli sono uno schiaffo al buon senso e un durissimo colpo alle speranze di centrare i play-off da parte della squadra di Bollini. Due le giornate di squalifica anche per Checco Lepore e Gianluca Di Chiara, mentre a Daniele Mannini è andata decisamente meglio con un solo giro fermo ai box.
Sanzioni comminate, per carità, a norma di regolamento da parte del Giudice sportivo della Lega Pro, ma che di certo non dimostrano alcun buon senso e non fanno altro che gettare ombre sempre più fitte nel burrascoso rapporto tra l’U.S. Lecce ed il Palazzo del calcio italiano. Non è infatti la prima volta che la società salentina recita il ruolo di vittima sacrificale sull’altare delle irreprensibilità, delle regole da rispettare, dell’esempio da dare a tutto l’ambiente. Già, ma quale ambiente? Quale credibilità cerca di mantenere un baraccone in cui di serio, forse, non c’è rimasto più nulla?
Basti guardare a quel che è accaduto con la Nazionale di Antonio Conte. L’infortunio, o presunto tale, occorso a Claudio Marchisio e poi miracolosamente rientrato, è costato la gogna mediatica sia al cittì che al medico dell’Italia che da anni segue gli Azzurri con scrupolo, passione e professionalità. La stampa nazionale, la dirigenza della Juventus e chi più ne ha più ne metta si sono scagliati contro coloro che non hanno trovato difensori d’ufficio. Anzi, non hanno trovato quelle figure che per ruolo istituzionale sono preposte a garantire che la reputazione e la professionalità dei tesserati siano rispettate.
In Italia vige la “regola” del dare in testa al più debole. Il Lecce, che di certo non è mai stato allineato alle posizioni comode, spesso ha recitato tale ruolo. La pantomima si è così ripetuta anche dinanzi all’ineffabile operato di un fischietto che pare esser stato “mandato” scientemente (più che designato) a dirigere una gara la quale, per nessuna ragione al mondo, poteva lasciar presagire una sfilza tale di espulsi ed ammoniti, quasi tutti in un’unica direzione. Catanzaro-Lecce era una partita che aveva importanza quasi esclusivamente per i salentini impegnati nella rincorsa agli spareggi-promozione. I calabresi, ormai rassegnati a disputare una stagione anonima, non avevano alcun mordente per giocare “col sangue agli occhi”. Beh, stando al referto presentato da Lanza e dai suoi assistenti, sembra che in campo siano scese due squadre assatanate ed assetate di vendetta. Neppure i rapporti tra i due club o le due tifoserie (all’insegna del fair play) giustificano un tabellino degno di un bollettino di guerra.
Al Lecce si vuol far recitare la parte della formazione “cattiva”, spesso da punire al minimo accenno di fallo o presunto tale. Gli arbitri di Lega Pro, che in fatto di esperienza e carattere hanno una carriera ancora tutta da costruirsi, troppe volte “brillano” per direzioni di gara a senso unico contro la compagine giallorossa. E così, proprio nel momento più caldo di un’intera annata, ecco che si materializzano i fantasmi di quanti vedono il Girone “C” già virtualmente orientato a garantire un posto nel calcio che conta alla lotitiana Salernitana o, al massimo, al Benevento eterno deluso. Che il Lecce sia scomodo lo si è capito. In tanti storcono il naso davanti all’ipotesi avanzata dai tifosi più accesi che ai danni della squadra salentina sia ordito un complotto. Ma, viva Dio, quanti tra i più garantisti dopo lo scempio di ieri non si saranno posto l’interrogativo che davvero qui gatta ci cova?
“Ogni limite ha una pazienza…” Già. Meglio sorridere ripensando a Totò, pur schiumando rabbia per la netta sensazione di esser stati boicottati ancora una volta, che lanciare ammonimenti ed inviti alla ragione. Perché, se a Lecce qualcuno iniziasse sul serio a ribadire che ogni pazienza ha un limite, chi potrebbe dargli torto?