LECCE (di Italo Aromolo e Eleonora Galati) – Si parla ancora di violenza sulle donne e discriminazioni di genere, duemila anni dopo il ratto delle sabine ed i raccapriccianti ginecei greco-romani. Ma la prepotenza e la stupidità dell’uomo, quando si tratta di rapportarsi col gentil sesso, paiono valicare i limiti dell’universo e trascendere il tempo della ragionevolezza. Nell’anno domini 2015, prendiamo atto e denunciamo. Troppo spesso a Lecce, città maestra nel pubblicizzarsi come oasi di vivibilità, i casi di violenza sulle donne sono passati inosservati, o al più denunciati sotto l’ala del perbenismo astratto e infarcito di cliché. Non mancano, fortunatamente, realtà locali dove l’impegno a combattere la violenza sulle donne è una missione quotidiana da perseguire e vincere con le forze dell’accoglienza, del supporto e della condivisione reciproca. Il Centro antiviolenza “Renata Fonte” da oltre quindici anni opera a Lecce per la difesa dei diritti della donna contro la violenza degli uomini. Abbiamo intervistato la presidente del centro, Maria Luisa Toto, per far luce sulla condizione della donna in Salento e non solo. Un racconto intenso, che affronta tutte le sfaccettature della materia e lancia un messaggio di grande speranza al genere femminile.
Quali sono le principali attività del centro e i fini per cui nasce?
“Il centro ha alle spalle sedici anni di attività e si impegna contro la violenza su donne e minori. Porta avanti attività di informazione e sensibilizzazione in particolare sui giovani. Negli ultimi anni siamo entrati a far parte della rete nazionale antiviolenza, aderendo al numero telefonico “1522” che è a disposizione di tutte le donne in difficoltà. Il punto di riferimento a Lecce è proprio il nostro centro. Il primo contatto che abbiamo con la donna è di solito telefonico, raramente le donne si presentano direttamente al centro, salvo casi di estrema urgenza. Anche in seguito – prosegue la presidente Maria Luisa Toto – continuano ad esserci altri ascolti telefonici: immaginate infatti come le donne che subiscano violenza possano sentirsi inibite dal pudore, dalla vergogna, dal senso di fallimento e dalla poca autostima. Segue il colloquio individuale, dove viene trasmessa quell’empatia che fa passare l’idea che ella non sarà più sola. Una donna che si rivolge alle Forze dell’Ordine o in Ospedale, infatti, viene accolta in un aula asettica, invece nel centro si rapporta con altre donne ed è accolta più serenamente. Inizia così a raccontare la sua relazione violenta: si fanno degli ascolti a ciclo, con varie educatrici, in cui le si danno le prime informazioni su come poter diventare “libera”. In un secondo colloquio si vanno a delineare gli interventi giudiziali e di sostegno, quindi l’incontro con la psicologa e l’inserimento nei gruppi di auto-aiuto. In questi gruppi la donna confronta la sua storia con quelle altrettanto tragiche di chi è nella stessa situazione. Dal punto di vista giudiziale, si procede per step: innanzitutto lo studio legale – per il centro vi è il gratuito patrocinio – e la denuncia all’avvocato con tutti gli strumenti di prova. Ricordo che il centro riveste non la costituzione di stato civile ma il ruolo di testimone, sulla spinta dell’allora procuratore Piero Luigi Vigna che fortemente volle questo statuto. Il che è pienamente legittimato dal fatto che i membri del centro, per fare due esempi, possono assistere telefonicamente alle urla di lui o vedere le ferite sul corpo di lei. Il “Renata Fonte” è dunque un presidio territoriale di legalità e di giustizia, oltre che costituire una riserva di ulteriori strumenti di indagine e prova”.
Quali sono i processi psicologici che si innescano nell’uomo affinché questi eserciti violenza sulla donna e che si instaurano nella donna perchè essa ritenga opportuno di meritare la violenza?
“Per quanto concerne la figura maschile non c’è un fattore psicologico particolare. Non sono gesti giustificabili da raptus o da patologie mentali, perchè sono puramente premeditati e compiuti lucidamente. C’è soltanto l’esercizio del potere che l’uomo vuole avere sulla donna. E questo è un fenomeno che affonda le sue radici nelle discriminazioni di genere. L’uomo ha in sé radicata l’idea del possesso. “Tu sei mia, non puoi sottrarti e se lo fai io ti uccido.” C’è un filo rosso che collega questo atteggiamento con quello mafioso. Non c’è alcuna differenza: ‘O mi paghi il pizzo o ti faccio saltare in aria’ è la stessa mentalità. Purtroppo, almeno fino a pochi anni fa, la donna viveva nella concezione che sottomettersi fosse giusto. Sempre accondiscendente verso l’uomo, affinché questi la amasse di più. Ora la donna ha iniziato a capire che non è così, non deve più stare zitta. E proprio in questi casi – spiega la presidente Maria Luisa Toto – assistiamo ai maggiori casi di femminicidio, perché l’uomo inizia a rendersi conto che la donna ha compreso quale veramente è il suo ruolo. La figura maschile viene quindi destabilizzata e comprende che la donna non è più un oggetto da manipolare a suo piacimento. L’uomo è come un bimbo capriccioso che ha il suo giocattolo: nel momento in cui gli viene strappato via, egli non può fare a meno di perseguitarlo, riprenderlo, smontarlo, rimontarlo”.
In quali parti dell’ Italia e del mondo si concentra maggiormente la violenza sulla donna?
“Non c’è differenza di violenze o loro numero nelle varie regioni d’Italia. Sono allo stesso livello Nord, Centro e Sud. Questo è un fenomeno che abbraccia come un demone lo Stivale intero. Possiamo parlare dell’infibulazione in Africa e delle spose bambine in India, ma fanno parte della cultura di questi paesi. Il primo motivo di morte della donna nel mondo è per causa di violenza”.
Ci racconta alcuni dei casi più eclatanti che sono affrontati nel vostro centro?
“Una donna che in un pomeriggio di estate abbassa la tapparella della camera da letto. Arriva il marito letteralmente imbestialito per aver trovato la tapparella abbassata e punta la pistola contro il bambino. Questo non si può definire un raptus, perchè la donna non aveva fatto nulla. Ancora, un’altra giovane donna di ventisei anni, madre di due bimbe, era malata di cancro. Lui un uomo violentissimo, lei in chemioterapia. Al momento della seduta in tribunale, il centro si propone come testimone. Tra le testimonianza delle tremende violenze su donna e bambine vi è anche una battuta, un bruttissimo episodio: i due sono in giro per strada insieme, lui si gira a lei che ovviamente, in chemioterapia, indossava una parrucca e le dice: ‘Sai cosa mi sta passando per la testa? Che quasi quasi adesso in mezzo alla gente ti tolgo via la parrucca e ti faccio fare una bella figura di merda’. Non si tratta di violenza, barbarie o cattiveria, ma è proprio lo squallore di certe situazioni gestite da certi uomini”.
Presidente, lanci un messaggio d’incoraggiamento alle donne vittime di violenza…
“Riprendetevi il vostro diritto alla felicità e alla libertà. Noi donne non siamo nate per subire ingiustizie da parte dell’uomo. Siamo nate libere. Ce la potete fare. Ripeto sempre il motto del centro: “Aiutare se stesse e le altre verso la libertà”.