Riceviamo e pubblichiamo il resoconto che un nostro lettore, Giansandro Merli, ha inviato alla redazione de Leccezionale Salento per raccontare la prima partita del Lecce nella Serie A 2019/’20. Una narrazione che aiuta a capire come mai tanti tifosi giallorossi abbiano accolto la sconfitta con l’Inter al pari di una vittoria…
Dopo sei anni nell’inferno della C e uno nel limbo della B, il Lecce è tornato a calcare i campi della massima serie affrontando fuori casa l’Inter. Nella cornice dello stadio San Siro gonfio di 64.188 paganti la squadra giallorossa ha esordito perdendo in maniera netta: 4 a 0.
Il risultato, però, nasconde una bella prestazione della formazione giallorossa che ha giocato contro un avversario di livello superiore senza paura, attaccando in ogni frangente possibile. L’undici salentino ci ha messo cuore e gambe, dietro i numeri da prestigiatore di Filippo Falco e sotto la guida attenta di mr. Fabio Liverani. Padre italiano, madre somala: sangue misto. Come una terra che nei secoli è stata transito di genti diverse, venute dall’Est e dal Sud. Una guancia sullo Ionio, l’altra sull’Adriatico. Al centro il cuore griko e tutto intorno dialetti gutturali che si addolciscono avvicinandosi a Santa Maria di Leuca.
Oltre il risultato, rimane l’emozione indelebile di aver giocato a testa alta nello stadio più grande e forse più bello d’Italia. Sembrerà normale per chi tifa club foraggiati dai milioni dei grandi investitori, ma non lo è per chi solo 24 mesi fa si trovava di fronte il Racing Fondi o la Sicula Leonzio.
La squadra collocata più a Sud nella mappa della massima serie è anche l’ultima nella classifica del valore monetario: la rosa del Lecce vale 35 milioni di euro. In vetta c’è la Juventus con 864 milioni, che equivalgono a 25 formazioni giallorosse. Nella classifica dell’entusiasmo, però, il Lecce è sesto: 18mila abbonamenti dietro Inter, Juve, Milan e Fiorentina, a poca distanza dalla Roma e sopra la Lazio. Numeri incredibili che segnano il record assoluto nella storia della società. Molto oltre le 13.589 tessere staccate nella prima stagione in A, nel 1985/’86, quando presidente era Jurlano, in attacco c’erano gli argentini Beto Barbas e Pedro Pablo Pasculli e le pay tv ancora non esistevano.
Lunedì scorso nel terzo anello sopra la Curva Sud del “Meazza” non c’è stato solo l’orgoglio di cantare i cori che parlano del Salento come musica e vento d’Africa o della voglia di attraversare tutta l’Italia per sostenere i colori giallorossi. C’è stato anche lo stupore di vedere, attraverso l’apertura sopra la tribuna d’onore, le luci futuristiche dei grattacieli della capitale economica e finanziaria italiana con gli occhi di ragazze e ragazzi nati e cresciuti in paesi piccoli o minuscoli del profondo Sud-Est. In questo campionato ci sarà tanto da soffrire, come ogni volta che Davide affronta Golia. Se finirà come è iniziato, però, significherà che è andato bene. Perché la partita d’esordio non si è conclusa con il triplice fischio, ma con un coro cantato insieme da 2.500 voci e accompagnato da 5mila mani che avevano percorso più di mille chilometri di passione: «Siamo sempre con voi, siamo sempre con voi, siamo sempre con voi, non vi lasceremo mai!»
Giansandro Merli