LECCE (di Elisa Morello) – Una calda giornata primaverile, me la immagino così quella giornata. Un giudice di nome Giovanni Falcone al volante e sua moglie, Francesca Morvillo, alla sua destra che ascoltano la radio e sorridono, durante quel pomeriggio di Maggio, insieme al caposcorta Antonio Montinaro, originario di Calimera, ed i suoi colleghi Rocco Dicillo e Vito Schifani. Ciò che essi hanno affrontato ogni giorno con determinazione e lealtà nella lotta contro Cosa Nostra non può che esserci di grande insegnamento.
Proprio per questo, voglio ricordare le parole di Antonio Montinaro durante una delle sue ultime interviste rilasciate: “Ci vuole coraggio a fare questo lavoro. Io ho sempre detto che chiunque fa questa attività ha la capacità di scegliere tra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo. Chi ha paura sogna, chi ha paura ama, chi ha paura piange, è un sentimento umano; è la vigliaccheria che non si capisce e non deve rientrare nell’ottica umana. Io, come tutti gli uomini, ho paura, ma non sono vigliacco”.
Riflettendo su queste parole, possiamo capire come quel 23 Maggio 1992 alle ore 17:58, presso l’autostrada Palermo-Capaci, quei 600 chilogrammi di tritolo non abbiano messo a tacere cinque voci, ma ne hanno accese in milioni. Portando avanti le loro idee, come hanno fatto dal primo giorno la moglie di Antonio Montinaro, Tina, la sorella Matilde e tutte quelle famiglie che sono state coinvolte in prima persona, ognuno di noi ogni giorno può essere parte integrante della lotta contro la Mafia.