LECCE (di Italo Aromolo) – Amatrice e l’ASD Amatrice si preparano per accogliere il Lecce come ad una festa, ma benefica, questo pomeriggio (ore 17:00) presso lo campo sportivo “Paride Tilesi. Sarà il primo calcio d’inizio della stagione per i ragazzi di mister Fabio Liverani nella prima delle quattro amichevoli in programma durante il ritiro estivo al monte Terminillo. Per tastare emozioni, sentimenti e sensazioni della piazza amatriciana, abbiamo invitato ai nostri microfoni l’allenatore della formazione laziale neo-promossa in Prima Categoria, l’ingegnere Romeo Bucci.

Ingegnere, come ci si sente ad affrontare una squadra di Serie B come il Lecce?

C’è grande attesa, è una partita molta sentita da società, giocatori e da tutta la popolazione: misurarsi con una squadra di Serie B qual è il Lecce è motivo di orgoglio. Sarà una festa: siamo fieri di questa manifestazione e contenti che i giallorossi abbiano accettato l’invito. Visiteranno i luoghi colpiti dal sisma e sicuramente rimarranno colpiti perchè la differenza la fa vedere con i propri occhi piuttosto che in televisione”.

Cosa dirà ai suoi ragazzi prima di scendere in campo?

Oggi è chiaro che usciremo sconfitti, ma quando si perde è giusto imparare, rubare con con lo sguardo i gesti degli altri più bravi di noi, cercare di farne bagaglio personale più che professionale, dal momento che sono tutti ragazzi che fanno calcio per passione e non per professione”.

Vi presentate ai nastri di partenza della Prima Categoria grazie a due promozioni di fila conquistate dopo il terremoto del 24 agosto 2016. Con quali armi?

L’Amatrice (mister Bucci il primo in piedi da destra)

L’ho chiamata ‘missione’ ed è quella di regalare una gioia attraverso i risultati sportivi a questa comunità per provare a distogliere l’attenzione dalla desolazione e dal dramma che vivevamo e viviamo giornalmente. È stata un impresa per noi come società e per i ragazzi, un gruppo straordinario, perché anche loro fanno parte di questa comunità e hanno perso parenti, amici e la casa: per due anni ci siamo allenati nella vicina Borbona, ma ognuno veniva da paesi più o meno lontani dove alloggiava in albergo, chi da Rieti, chi da Roma, chi da L’Aquila o da San Benedetto del Tronto. L’allenamento settimanale era diventato per noi il punto di ritrovo, un modo per vedersi dal momento che non c’era più la piazza, la sala giochi o il bar: il sacrificio non pesava a nessuno e c’è stata una grande forza di volontà: come ho detto ai ragazzi dopo aver conquistato la promozione, le partite si vincono col talento, ma i campionati con le motivazioni”.

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