La dott.ssa Daniela D'Anna
La dott.ssa Daniela D’Anna

LECCE (di Daniela D’Anna) – Il gioco è un lavoro per il bambino. Lo sport è un gioco nobile poiché coinvolge la sfera sociale dell’adulto e non soltanto. È buona cosa abituare i ragazzi a praticare non solo quello sociale ma anche la semplice ginnastica da eseguire da soli sia in palestra, che negli spazi aperti per ossigenare i polmoni; infatti recita l’adagio latino “mens sana in corpore sano”. Il gioco, sia di gruppo che effettuato in solitaria, sopperisce anche a quelle carenze proprie della famiglia nucleare, di cui sono testimoni quelle famiglie deprivate del ruolo sociale degli anziani, che oggi sono ormai la maggior parte. Un tempo, ad esempio, i nonni svolgevano quella funzione improntata ad una certa autorevolezza e figli, padri e nipoti vivevano nella stessa casa. Oggi, vivendo sempre di corsa, viene meno lo spazio dedicato alla comunicazione, che invece nella realtà sportiva si arricchisce di simbologie e di codici di comportamento, che spesso si definiscono linguaggio non verbale, anch’esso una modalità espressiva, anzi più diretta e che si spoglia di quei camuffamenti tipici talvolta della verbalizzazione.

Lo sport conserva ancora quella valenza sacrale per così dire fatta di riti, cerimoniali e, se vogliamo, superstizioni, come provano le diffuse consuetudini a portare degli amuleti, che riempiono di pathos “l’arte dello sport”. Vista in questa dimensione altresì  l’educazione fisica a scuola diventa un diritto-dovere degli scolari e poi degli atleti che continuano ad esercitare lo sport prediletto. L’attività fisica aiuta chi la effettua a strutturare la personalità facendo prendere coscienza sia nello sport amatoriale, sia professionistico delle proprie emozioni, quali imbarazzo, gioia, entusiasmo e altre particolari che solo lo sportivo può fino in fondo sperimentare. D’altro canto, l’agonista impara a proprie spese, facendo l’esperienza della sconfitta, che è inabile a fare una determinata cosa piuttosto che a ritenersi un fallito.

sport bambino tennisSeguendo una disciplina del corpo, oltre a provare sensazioni piacevoli, si consapevolizza il proprio valore in termini di misurazione e confronto rispetto agli avversari e si riesce a far coesistere la cooperazione diretta ad uno scopo comune. Non ultimo si incanala l’aggressività con la sublimazione degli istinti che si scaricano per esempio su un pallone. Lo sport serve anche ad innalzare l’autostima rendendo coscienti chi lo pratica del senso di sicurezza, di fiducia crescente in se stessi, di padronanza che derivano dal rispetto delle regole del gioco. Nel caso del minore, però, si deve tenere sempre ben presente il grado di interesse del figlio o dell’allievo e valutare se è opportuno, per un eventuale abbassamento della motivazione, troncare senza infliggere deleteri sensi di colpa. Per il bambino lo sport deve essere inteso come un momento dedicato al divertimento anche se nel contempo diventa formativo come avviene nel gioco di squadra in cui si hanno compiti ben precisi. E ricordare sempre a quei genitori che vorrebbero il figlio campione che l’importante non è vincere, ma partecipare…

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