LECCE (di Italo Aromolo) – La celebrazione del trentennale della prima promozione del Lecce in Serie A ha fatto tornare d’attualità un tema sempre molto sentito tra i tifosi salentini: la possibilità di intitolare lo stadio “Via del Mare” alla memoria di Ciro Pezzella e Michele Lorusso, i due calciatori giallorossi che hanno perso la vita in un incidente stradale il 2 dicembre 1983. Ufficialmente, l’impianto leccese porta già il nome di Ettore Giardiniero, compianto ex sindaco della città al cui operato è legata la ristrutturazione dello stadio proprio dopo il passaggio del club nella massima serie nell’estate del 1985, in sinergia con l’allora presidente Franco Jurlano. E nelle altre città, chi sono e cosa hanno fatto i personaggi del mondo del calcio a cui sono intitolati i principali stadi italiani? Dietro ad ogni impianto c’è un nome che significa leggenda, la storia di uomini che vale la pena conoscere e far conoscere, perché sintetizzano tutto ciò che il calcio dovrebbe essere e trasmettere. Amore, competenza, passione e sacrificio: in un racconto a due puntate, scopriremo le virtù che li hanno reso eterni ripercorrendo pagine uniche dello sport italiano. I protagonisti della puntata odierna sono Renato Dall’Ara (stadio di Bologna), Artemio Franchi (stadi di Firenze e Siena), Luigi Ferraris (stadio di Genova) e Carlo Castellani (stadio di Empoli).
RENATO DALL’ARA – Bologna. La storia di Renato Dall’Ara esalta la figura del presidente “totale”, guida innamorata di un popolo, una squadra e una città che a distanza di anni continua a vedere in lui il massimo esempio della passione per il Bologna. Una vita spesa per i colori rossoblù, trenta lunghissimi anni nei quali l’imprenditore emiliano – storico patròn del club dal 1934 al 1964 – ha portato sotto gli Asinelli la bellezza di cinque scudetti, fior di campioni e una reputazione di assoluto prestigio in Italia e nel mondo. Spirò facendo quello che aveva fatto per tutta la vita, cioè difendere e tutelare gli interessi del suo Bologna: era negli uffici della Lega Calcio quando, mentre discuteva con il presidente dell’Inter Angelo Moratti dell’incasso dell’imminente spareggio-scudetto tra le loro squadre, fu stroncato da un infarto. Dall’Ara era malato di cuore, tanto che il medico gli aveva prescritto di non seguire le partite dei rossoblù, con suo enorme dispiacere. “L’hanno fatto morire” esclamavano i più maliziosi in relazione allo sciacallaggio mediatico in atto contro la sua squadra, accusata ingiustamente di doping forse perché troppo bella, forte e al contempo “piccola” per i piani alti del calcio italiano. Poche ore dopo i toccanti funerali, il Bologna sconfisse l’Inter per 2-0 e festeggiò l’ultimo scudetto della grande epoca di Renato Dall’Ara.
ARTEMIO FRANCHI – Fiorentina e Siena. Se lo hanno ribattezzato “l’italiano che il mondo ascoltava” un motivo ci sarà e non di poco conto. Senese di nascita ma fiorentino di adozione, Artemio Franchi è stato uno dei massimi dirigenti sportivi italiani: dal 1967 in poi ha ricoperto le cariche di presidente della FIGC, presidente dell’ UEFA, vice presidente della FIFA, presidente della commissione di Finanza della FIFA e membro del Comitato Organizzatore dei Campionati Mondiali. La sua carriera, che a soli 61 anni lo predestinava alla presidenza della FIFA, si è fermata tragicamente alle 19:10 del 12 agosto 1983: in un piovoso pomeriggio d’estate, Franchi si stava recando in provincia di Siena per incontrare Bastiano, il fantino che avrebbe dovuto correre il Palio per la sua contrada, ma la Fiat Argenta sulla quale viaggiava non resse il terreno scivoloso e invase la corsia opposta andandosi a schiantare contro un tir. Inutile la corsa in ambulanza, Franchi morì sul colpo e già alle 19.30 l’Ansa emetteva un comunicato glaciale: “In un incidente stradale in provincia di Siena è morto il dottor Artemio Franchi, grande dirigente del calcio italiano e mondiale”.
LUIGI FERRARIS e CARLO CASTELLANI – Genova ed Empoli. Il destino della guerra accomuna questi due calciatori-eroi vissuti nella prima metà del novecento. Luigi Ferraris è stato un centrocampista del grande Genoa che conquistava titoli su titoli all’inizio del secolo scorso: dal fortissimo senso patriottico, durante la Prima Guerra Mondiale abbandonò l’attività agonistica per combattere da volontario al fronte. Ma nel corso di una missione in Veneto un proiettile d’artiglieria lo colpì fatalmente stroncandolo a soli 27 anni. Fu insignito di una medaglia d’argento al valore che, durante la cerimonia di intitolazione, è stata sotterrata sotto la porta da gioco antistante la Curva Nord dello stadio genovese.
Onore delle armi anche per Carlo Castellani, attaccante degli anni ’30 che ha militato nell’Empoli per quasi un decennio, conquistandosi la palma di miglior goleador di tutti i tempi prima del recentissimo sorpasso da parte di Ciccio Tavano. In epoca nazifascista, la famiglia Castellani era segnalata come dichiaratamente socialista e così, quando nell’agosto del ’44 gli operai dell’empolese indissero uno sciopero, il calciatore si ritrovò vittima del feroce rastrellamento attuato dalle forze tedesche: si racconta che la polizia entrò in casa sua per prelevare il nonno ormai malato e che il giovane Carlo, rassicurato dagli agenti che si trattasse di un semplice “accompagnamento in caserma”, si offrì ingenuamente in quella che si sarebbe rivelata una cruenta deportazione nel campo di concentramento di Mauthausen, in Austria. Qui, stravolto dalle fatiche disumane cui era quotidianamente sottoposto, Carlo Castellani si ammalò e morì pochi mesi dopo.