fanfullicchieLECCE – Altro che Halloween, dolcetti o scherzetti. A Lecce resiste un’antica e per anni quasi dimenticata tradizione abbinata alla Festa di Ognissanti ed alla commemorazione dei defunti: la vendita delle fanfullicchie. Molti non conoscono l’esistenza di tale leccornia, se non per averla magari almeno sentita nominare, ma i nostri genitori ed i nostri nonni ben sanno di cosa si parla quando si cita. Si tratta delle tipica caramella di zucchero attorcigliata su se stessa, che si offriva ai bambini poveri ed agli orfani durante questa giornata di festa e durante l’intera settimana in cui si commemorano i defunti.

Quest’appuntamento, che era irrinunciabile per i più piccoli fino ad almeno mezzo secolo fa, trattandosi di uno dei rari momenti in cui era possibile gustare una caramella all’essenza di menta, affonda le proprie origini all’epoca in cui, nella piazza Duomo di Lecce, durante la celebrazione della consegna della cosiddetta “Spasa (guantiera) di monsignore, avvenne l’investitura del vescovo Luigi Pappacoda che resse la Diocesi del capoluogo salentino dal 1639 al 1670 e che commissionò all’architetto e scultore Giuseppe Zimbalo il duomo, il suo campanile ed il palazzo dell’episcopio.

Col tempo, quella ricorrenza si trasformò nella “Fera te lu panieri“, una festa ormai sparita da almeno 50 anni, durante la quale si vendevano le fanfullicchie ed i tipici giocattoli in legno come le girandole, le trozzule o i tamburelli su cui far rimbalzare due palline.

cimitero LecceLe fanfullicchie sono cadute nell’oblio col passare dei tempi e solo da qualche decennio questa tradizione tutta leccese ha ripreso linfa e rappresenta un “must” per quanti, tra il 1° ed il 2 novembre, si recano al cimitero per ricordare i propri cari che ormai non sono più a questo mondo. Oggi, le fanfullicchie si possono trovare non più in una sola variante di gusto, ma se ne possono acquistare per uno o due euro di saporite e multicolori.

In passato, le caramelle zuccherine più piccole erano chiamate “bomboloni“, mentre quelle più lunghe, appunto, fanfullicchie e si potevano acquistare con una spesa modica, di circa 5 lire a sacchetto.

Una tradizione, appunto. Una delle tante che, ahinoi, rischiano nuovamente di scomparire per lasciare posto alle più gettonate e “moderne” celebrazioni esterofile, fatte di rituali che non appartengono alla nostra cultura ed alle nostre radici, ma che meglio si prestano ad ammaliare grandi e piccoli, piegandosi alle regole del consumismo scriteriato.

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