LECCE (di Massimiliano Cassone) – L’emozione non ha voce e a volte si esprime in un abbraccio dopo una lunga corsa, così come è stato per Stefano Salvi che, dopo il gol, è corso all’impazzata verso il “suo” capitano, Fabrizio Miccoli, che è letteralmente “saltato” dalla panchina per condividerne la grande gioia. L’amore non ha limiti e Miccoli lo sta dimostrando. La sua maglia, la sua gente, la sua squadra, la sua Curva l’hanno convinto a soffrire in panchina perché amare è anche un po’ soffrire. Lui è lì, come fosse il padre di tutti i ragazzi che scendono in campo per combattere una battaglia a cui non può partecipare da lottatore limitandosi a farlo da spettatore; lui però lo sa, glielo ripetono sempre i compagni, è lui il leader indiscusso di un gruppo che si sta ritrovando attorno al nuovo mister che, col suo nuovo progetto di gioco, valorizza la velocità, le fasce e la gioventù. Fabrizio è cosciente di non avere 90 minuti nelle gambe e, anche se ha una scrivania da dirigente che lo attende, vuole stare ancora a bordo campo, ad emozionarsi, ad imprecare, ad aspettare il suo momento, perché, così come tutti, ha la consapevolezza che dai suoi piedi anche in soli 5 minuti potrebbe nascere il gol decisivo per la vittoria.
A volte, a vederlo in panchina, sembra che abbia un joystick e voglia telecomandare i compagni nella giusta direzione, altre volte è taciturno, forse si perde nel labirinto dei ricordi, ma quando arriva il gol esplode di felicità sempre, come fosse stato lui a realizzarlo.
È spesso il primo ad arrivare allo stadio per gli allenamenti o le partite, è sempre l’ultimo ad andare via, come volesse controllare che tutto vada bene, poi sale in macchina e accelera portandosi via, per custodirla nel posto dove ha le cose più preziose, la speranza di riuscire a coronare il suo sogno più grande: prendere la squadra per mano e riportarla nel calcio che conta.
Fabrizio Miccoli Capitano vero, senza se e senza ma.