GALLIPOLI (di Gabriele De Pandis)- Molto più di un leader in campo, una guida dalla quale tutti i giovani hanno tantissimo da imparare. Benedetto Mangiapane, quasi 37 primavere sulle spalle e ancora tanta voglia di dimostrare, con quel vigore agonistico dai piedi fini quasi rivelatore del suo stile di gioco fatto di tocchi illuminanti e bolidi scagliati verso il sette da ogni parte del campo, elementi che sembrerebbero quasi un ossimoro calcistico; ma non lo sono quando si tratta di Mangiapane, girovago del gol e risolutore in tantissime piazze del Mezzogiorno come Barletta, Cava, Nocera e Lamezia, laddove è diventato una bandiera. Il carisma del centrocampista siciliano, arrivato nel Salento dopo esser stato il capitano proprio della Vigor in Seconda Divisione, lo si può quasi toccare nelle sue parole quando si parla di consigli da dispensare ai più giovani: “Sono stato uno che di errori in carriera ne ha fatti tanti; quando sono stato a Lamezia, ho fatto per cinque anni il capitano e la prima cosa che dicevo ai ragazzi era di prendermi, allo stesso tempo, sia come emblema di ciò che non devono fare che come fonte inesauribile di consigli, perché io sulla mia pelle ho pagato tutto a caro prezzo”. Mangiapane è però anche una delle forze offensive di questo Gallipoli, statisticamente più pericoloso nelle partite dove il suo genio ha illuminato, seppur a tratti, l’inerzia dell’atteggiamento messo in campo dalle formazioni in campo.
Partiamo dal presente. Com’è andata la sosta?
“Bene. La sosta è arrivata nel momento opportuno. La squadra doveva cominciare a rifiatare un pochettino e cercare di migliorare quelle che sono le nozioni tattiche impresse dall’allenatore, è un bene che ci sia stata. Nella prossima partita a Monopoli bisogna andare con il giusto atteggiamento per fare risultato.”
Com’è nata l’idea del trasferimento a Gallipoli?
“Ho accettato Gallipoli con tanto entusiasmo; i problemi societari prima del mio arrivo non hanno inciso sulla mia decisione, Gallipoli è una piazza che non si può rifiutare. Sono venuto con tanto entusiasmo e mi auguro di portare a termine il mio operato raggiungendo l’obiettivo che la società si è prefissata”.
Ultimamente mister Quaranta opta per il suo utilizzo nella seconda frazione, cercando di avvalersi alla fine delle sue giocate. Preferisce partire dal 1’?
“Penso che non ci sia un giocatore che voglia partire dalla panchina, io a maggior ragione. È normale che quando prendi Mangiapane i tifosi e la società si aspettano la giocata risolutiva, che però oggettivamente in venti minuti non sempre riesci a fare. Io mi auguro di giocare tutte le partite possibili da qui alla fine. In ogni caso, c’è un allenatore che fa le sue scelte, è pagato per quello, e deve essere rispettato, senza se e senza ma. Io, da giocatore, mi sento più utile in campo che entrando negli ultimi 20 minuti. Senza peccare di presunzione, mi accorgo che la squadra è più tranquilla con me in campo”.
Qual è il suo primo bilancio in giallorosso? Le manca molto il gol?
“Sicuramente mi è mancato il gol, è una cosa importante. Qui mi sto divertendo, cercando di mettere a disposizione del gruppo le mie qualità. Spero che presto possa arrivare il gol, anche per una questione mia, e per rendere completa la mia permanenza a Gallipoli”.
Il gol però è stato sfiorato più volte, spesso con soluzioni da distanza siderale sicuramente non consone alla categoria…
Sì, e mi auguro di centrare il bersaglio con una di queste soluzioni. Quello fa parte di un repertorio che mi ha reso, tra parentesi, famoso; ogni volta che incontro le squadre avversarie c’è timore per i miei calci piazzati. Il segreto? Non è solo frutto di doti naturali, bensì anche di lunghi allenamenti fatti dopo la seduta fermandomi sul terreno di gioco per provare in continuazione il tiro. È certamente una dote che madre natura mi ha dato, l’ho coltivata e ne sono orgoglioso. È vero che certe giocate in D non si vedono, però tutto questo fa aumentare il mio rammarico per una carriera dove, per errori, mancanze o fortuna, non ho potuto calcare campi più prestigiosi. Comunque sono felice; Bene o male, ho giocato in tutte le categorie e sono orgoglioso di averlo fatto.
Il più grande rimpianto?
“Senza dubbio quando Somma mi portò ad Empoli in Serie A, nel 2005. Ero nell’età perfetta, avevo 28 anni, maturo al punto giusto, sia dal punto di vista calcistico che da quello umano, grazie alla seconda paternità. Con il mister Somma potevo ambire ad alti palcoscenici, invece poi la società ha fatto delle scelte diverse da quello che c’eravamo prefissati col mister. Da quel momento è cambiato tutto il mio modo di vedere il calcio. Oggi ormai il livello si è abbassato talmente tanto, viste le leggi e i regolamenti sui giovani, che comunque ti passa la voglia di continuare a fare questo sport, al quale ho dato la mia vita”.
Nel gruppo giallorosso è sicuramente la chioccia alla quale molti giovani possono far riferimento. Cosa si sente di dire loro?
“Quando io ho iniziato a giocare esisteva la meritocrazia, giocavi perché eri forte e non perché dovevi portare soldi alle società; purtroppo, senza mezzi termini, è una triste storia. Io, da tanti anni, ne faccio una guerra anche per rispetto dei ragazzi che si avvicinano in questo mondo e dopo tre anni sono emarginati, non sapendo cosa fare più della propria vita. L’unico consiglio che posso dare non abbraccia l’aspetto tecnico, tanto se uno è forte, giocherebbe sempre e comunque; il mio suggerimento è di non lasciare gli studi e, in ambito calcistico, di non farsi trattare come persone ‘usa e getta’ ai comodi delle società. D’altra parte, c’è da dire che è ormai ‘normale’ vedere un giovane presuntuoso; noi avevamo il pallone e basta, oggi invece si ha tutto. La fame, la cattiveria non ci sono più, questo fa si che il livello si abbassi e di conseguenza arrivi ad affrontare certe squadre che veramente non hanno né qualità né quantità. Dopo tanti anni spesi sui campi da gioco, la soddisfazione più grande è che tanti miei ex compagni mi chiamano per un consiglio non solo calcistico ma anche per vita di tutti i giorni; ciò mi riempie di orgoglio.
Torniamo al presente, con un piccolo sguardo al futuro: cosa si aspetta dopo questa stagione? Ha in progetto di rimanere nel mondo del calcio una volta appese le scarpette al chiodo?
“Ho il patentino per allenare fino alla Serie D ma ora non mi pongo scadenze: finché avrò voglia e mi divertirò non smetterò di giocare. È normale che la lontananza dalla mia famiglia, rimasta a Lamezia, mi pesa tanto, però sicuramente in futuro proverò a fare l’allenatore; è sicuramente un mondo diverso e lontano da quello del calciatore, ma voglio provarci, mettendo in pratica tutto ciò che ho imparato in tutti questi anni di esperienza sul campo; credo di poter dare il mio contributo anche dalla panchina. È questo il mio sogno, se non dovesse andare ci sarebbe altro da fare. Continuare nel mondo del calcio potrebbe anche voler dire aprirmi una scuola calcio a Lamezia, magari potrei veder crescere altri Mangiapane, se ce ne saranno (sorride, ndr)”.