LECCE (di Carmen Tommasi e Gabriele De Pandis) – Osannato nello scorso campionato, difeso e coccolato dopo i fattacci del post Frosinone-Lecce, atteso con ansia in panchina fino alla scadere della lunga squalifica. Criticato, fischiato dopo Lecce-Catanzaro e messo in discussione, dopo la pesante e brutta sconfitta in quel di Messina. Il “sergente di ferro” Franco Lerda, il tecnico dell’incredibile rimonta nello scorso campionato, l’allenatore severo e a tratti rude, quello che si definisce “una testa di c…”, l’uomo meticoloso, sempre attento e preparato, è oggetto in queste ultime ore e, dal dopo gara contro le Aquile calabresi, di dure e pesanti critiche per la gestione dei cambi. Nella nostra ormai abituale rubrica del “perché sì” e “perché no“, ci chiediamo se la causa del 2-2 arrivato in pieno recupero contro la squadra del tecnico Massimo D’Urso sia stato o meno causato da una lettura sbagliata da parte del mister di Fossano nella seconda frazione di gioco.
Perché sì – Sul 2-0, nel calore delle mura amiche del “Via del Mare” e con il primo tempo chiuso in bellezza, il pareggio in una partita contro un avversario ferito e che non faceva risultato da tre partite, è stato considerato dai più, a ragion veduta, al pari di una sconfitta, così come ha dichiarato, senza mezzi termini, anche capitan Giuseppe Abruzzese a fine match. Il cambio di Abdou Doumbia per Alessandro Carrozza (l’ex Verona era stato fermo per due giornate a causa di uno forte stato influenzale e quindi certamente non al top) è risultato del tutto inadeguato, soprattutto perché fino a quel momento “Dudù” era stato uno dei migliori in campo e nel massimo della sua verve agonistica, caricato anche dalla splendida doppietta. Poi, l’ingresso al 37’ del secondo tempo di Kevin Vinetot, al posto di Gigi Della Rocca, è sembrato un volersi chiudere ulteriormente e non affrontare invece a viso aperto gli avversari. Perché non far entrare capitan Fabrizio Miccoli? Nelle fasi cruciali delle partite, se utilizzato a dovere e “centellinato”, l’ex Palermo può risultare decisivo con una giocata importante o con una marcatura delle sue. Inoltre, la squadra nei momenti decisivi (così come nello scorso anno: vedi Viareggio, nello scontro diretto col Perugia e nella finalissima con il Frosinone) sembra accusare un forte contraccolpo psicologico; un blocco emotivo, più che un calo fisico. Papini e soci non riescono, insomma, o non sono in grado, di chiudere le partite (come nel caso dell’ultima gara). O, forse, non sono capaci di sfruttare le occasioni d’oro per dare una svolta alla propria stagione (come successo anche nei due campionati precedenti).
Perché no – Si sa, nel calcio, il primo a pagare ed a subire le strigliate è sempre l’allenatore. Ma è altrettanto evidente che ogni insuccesso, soprattutto se arrivato nei minuti finali, è un concorso di colpe tra le varie componenti della squadra. Non è certamente dipesa da Lerda l’involuzione tattica nei secondi 45’ di Daniele Mannini, leone della fascia nel primo tempo con le sue sgroppate, ma agnellino nella ripresa in balìa di Gianluca Di Chiara, il migliore del match tra gli ospiti. I gol del Catanzaro, sia quello di Ilari, che il pari di Maiorano, sono nati dai piedi del centrocampista sinistro cresciuto nel Palermo, lasciato sempre colpevolmente libero di agire nella sua zona di competenza. La rete del pari finale, a maggior ragione, è stato poi causato da un eccessivo schiacciarsi del Lecce nella propria area: un maggior coordinamento tra gli uomini avrebbe permesso un uscita più veloce dai 16 metri per murare il tiro del centrocampista delle Aquile che ha avuto il tempo di stoppare, aggiustarsi il pallone sul piede e mirare il palo lontano innescando la beffarda carambola che ha portato al 2-2. La “paura di vincere” forse si è avvertita in campo, ma l’antidoto a questo strano malessere va ricercato soprattutto nell’unità sul terreno di gioco. In più, l’assenza di un incontrista come Stefano Salvi e le condizioni non perfette di Romeo Papini, sabato al rientro anch’egli dopo un infortunio, non hanno permesso il giusto piglio allo schieramento giallorosso. Infine, va detto per onestà intellettuale, che gli ultimi successi contro Cosenza ed Aversa sono stati figli di finali palpitanti, con il Cosenza che si rammaricava per il tiro da fuori finito a lato di Calderini al 93’ e l’Aversa normanna vicina al pari con un batti e ribatti che portava al tiro Catinali in conclusione di gara. In Lega Pro, salvo rare eccezioni, ci sono pochissime vittorie in cui si passeggia sull’avversario.