Coppa Italia, leccezionale.itLECCE (di Italo Aromolo) – Inchiesta arbitri, atto secondo. Dopo aver raccontato abitudini, segreti, aneddoti e curiosità della professione più contestata d’Italia (LEGGI QUI), l’inchiesta de Leccezionale.it sulla classe arbitrale prosegue dando voce al fischietto salentino Giuseppe Macagnano, storico arbitro delle amichevoli dell’U.S. Lecce,nonché ospite fisso della trasmissione televisiva “Terzo Tempo” autogestita dal club di Piazza Mazzini. Ex calciatore con esperienza tra i professionisti ed attuale arbitro del campionato provinciale Acli, Macagnano ci offre un parere originale e particolarmente prezioso (visto il “bavaglio” che vieta ai fischietti dell’AIA di parlare pubblicamente) in merito a tutte quelle questioni arbitrali quali sudditanza psicologica, impiego della tecnologia e rilascio di interviste che da sempre sono al centro del dibattito tra appassionati di calcio.

E’ vero che tra i più grandi segreti di un arbitro di successo ci sono una preparazione atletica impeccabile e la capacità di creare spirito di gruppo?

“Sono due aspetti assolutamente fondamentali. Dal punto di vista fisico, seguiamo una preparazione atletica molto simile a quella dei calciatori, con allenamenti duri e costanti. Non puoi ammalarti, né avere alcun tipo di problema muscolare: diversamente dai calciatori, che riescono a recuperare a tempo di record dagli acciacchi, se noi il lunedì abbiamo un problema fisico, al 90% salteremo la partita successiva. Per quel che riguarda lo spirito di gruppo, mi sento di dire che siamo la terza squadra in campo: prima della partita, in campo o negli spogliatoi, capita spesso di vedere gli arbitri abbracciarsi e darsi il cinque; è un modo per stare vicini e trovare la giusta compattezza per affrontare la gara.”

Giuseppe Macagnano
Giuseppe Macagnano

Recentemente hanno fatto scalpore le dimissioni rassegnate dall’arbitro Andrea Romeo: voleva semplicemente rilasciare un’intervista, ma il regolamento interno dell’AIA lo vieta tassativamente. Un giudizio sulla spinosa questione-interviste.

“Sarebbe giustissimo dare all’arbitro la possibilità di parlare al termine della partita e, anzi, io sono uno dei pochi che si è attivato in prima persona perché ciò potesse accadere. Evitando il caos di mille televisioni, basterebbe anche un’intervista rilasciata ad un solo addetto stampa. Immagino la scena in cui, in modo molto garbato, si potrebbe chiedere all’arbitro ‘Ha concesso un calcio di rigore, che dalla moviola sembra piuttosto dubbio; era posizionato male? Quale era la sua dinamica?’ In modo altrettanto garbato, il direttore di gara magari risponderebbe: ‘In quel momento avevo due uomini davanti e purtroppo la mia visuale era limitata. Ho concesso il calcio di rigore in base a quello che ho potuto vedere’. Così, la gente capirebbe che la malafede non esiste né c’è mai stata, Calciopoli a parte… Sono sicuro che l’arbitro sia sempre in buona fede e lo potrebbe dimostrare parlando dei singoli episodi”.

Tecnologia sì, tecnologia no: un’altra grande diatriba che ci portiamo appresso da anni. Qual è il Macagnano-pensiero a riguardo?

“Sono favorevole a piccoli aiuti tecnologici, ma non dimentichiamoci che la terna ha il proprio ruolo e tale deve rimanere. Ad esempio, sostituirei l’arbitro di porta, che fa più danni che altro, con dei sensori di porta che scattino quando la passa oltrepassa la linea. Per le azioni di gioco, l’ideale sarebbe una micro-moviola che venga fatta istantaneamente dal quarto uomo attraverso una telecamera. Senza fermare il gioco, nell’arco di pochi secondi, può valutare un fuorigioco o un calcio di rigore su un piccolo monitor e conseguentemente comunicare la sua decisione all’arbitro tramite auricolare; è ovvio che, in caso di dubbi anche alla moviola, il quarto uomo dovrebbe lasciar proseguire il gioco per evitare eccessivi rallentamenti”.

Nel calcio spesso si dice che, nel valutare una squadra o un calciatore, occorra guardare al complesso e non soltanto agli episodi. E’ un buon promemoria che vale anche per gli arbitri?

“Un arbitro può fare una carriera fantastica ed essere punito da episodi. Se in una partita importante ci sono 3-4 episodi dubbi e li valuti erroneamente, alterando il risultato, ti sei bruciato la carriera. Perciò è importante avere la micro-moviola in campo, come un aiuto rapido che possa evitare errori decisivi. Siamo umani, possiamo sbagliare, ma molti tifosi lo dimenticano: non siamo macchine, abbiamo due braccia, un cervello e due occhi: vediamo quel che possiamo. Anche se siamo posizionati in modo tale da avere una visuale perfetta, basta che in quel momento ci passi davanti una gamba di un giocatore perchè non riusciamo poi a vedere se fosse rigore o meno. Né abbiamo quaranta replay da ogni angolazione. I grandi arbitri dicono che, se in una partita ci sono una serie di episodi e riusciamo a interpretarne correttamente il 90%, abbiamo arbitrato un’ottima gara”.

arbitro Macagnano LecceSudditanza psicologica, accanimento verso un calciatore, favoreggiamento della squadra di casa: verità o falsi miti?

“Secondo il mio punto di vista non sono falsi miti, sono situazioni che a volte esistono. Se un giocatore offende l’arbitro in maniera continua, con un modo di parlare ed una gestualità antipatica, tipo Totti che si rivolge all’arbitro con ‘Aoh, aoh!’, è chiaro che l’arbitro si indispettisce ed è magari maggiormente predisposto ad ammonirlo o espellerlo alla prima occasione. Il modo di protestare deve essere educato: solo così il direttore di gara può arbitrare in maniera lucida. Favorire la squadra di casa? Ci sono dei campi caldissimi come, pensando al girone in cui ha militato quest’anno il Lecce, quelli di Salerno o Catanzaro, in cui la tifoseria è molto vicina e fa continuamente sentire all’arbitro il fiato sul collo . E’ innegabile che situazioni del genere possano influenzare l’arbitraggio a favore della squadra di casa. Per quanto riguarda la sudditanza psicologica, posso dire che esiste, ma solo in caso di situazioni molto dubbie: se in un Inter-Chievo o in un Frosinone-Paganese l’arbitro è indeciso al 50% e 50% tra due decisioni, e sottolineo solo e soltanto in questo caso, favorirà sempre la squadra di vertice o la piazza più importante”.

In chiusura, pensi che essere arbitro sia effettivamente più difficile che essere calciatore, allenatore o dirigente?

“Io sono stato sia arbitro, che calciatore e posso dire che nessuno dei due ruoli sia più difficile dell’altro. Sono diversi, ciascuno con le proprie ed uniche caratteristiche”.

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