LECCE (di Marina Martina) – Tra una battuta ed una riflessione, tra un sorriso amaro e umoristico, al Teatro “Paisiello” di Lecce, ieri sera, è andata in scena “Il Visitatore”. La commedia di Schmitt che è stata la prima rappresentazione della stagione teatrale del Comune di Lecce.
L’OPERA – Ambientata nella Vienna del 1938, invasa dalla follia sterminatrice nazista, l’opera ha per protagonisti il padre della psicanalisi Sigmund Freud, portato sul palco da Alessandro Haber, e uno “strano” visitatore, Alessio Boni, che compare sulla scena nel momento più drammatico della sua storia umana e professionale.
Poco prima di ricevere questa visita inaspettata, infatti, Freud sta vivendo il dramma personale di aver visto portare via dalla Gestapo, la figlia Anna, colei che poi avrebbe preso la sua eredità culturale e portato avanti idee e impegno anche dopo la sua morte, evocata in alcuni passaggi anche nella commedia e che lui sente vicina (sta già combattendo con il tumore alla gola che poi lo porterà via il 23 settembre 1939).
Nel secolo che passerà alla storia come il più sanguinoso, dominato dall’ideologia fanatica e distruttrice dell’uomo, al di là di “facili” e scontate prese di posizione, l’autore vuole mettere in scena l’uomo e le sue fragilità, debolezze, mancanze davanti alle domande esistenziali che attanagliano anche la persona colta e studiosa, che di “mestiere” cerca di dissipare i nodi dell’animo altrui, in un momento di sconforto e disperazione come quello attuale.
Da un lato ci sono la figlia e gli altri familiari che lo incitano ad andare via da un’Austria che non riconoscono più come la loro patria, dall’altra lui che sente ancora forte il legame con Vienna, la città che lo ha visto crescere e diventare uomo, trascorrendo i primi periodi difficili quando ancora nessuno comprendeva a fondo la sua teoria e da cui non avrebbe mai immaginato di dover andare via in quel modo.
IL DIALOGO – Sorpreso e turbato dalla visita inaspettata ed a tarda sera di uno sconosciuto che si presenta come desideroso e bisognoso di un colloquio con lui, Freud inizia una conversazione che lo porterà a farsi alcune domande che forse per un po’ di tempo aveva trascurato o a cui non aveva risposto più.
Ancora una volta nella sua vita si ritrova a confrontarsi con il dubbio, la debolezza e la fragilità dell’uomo, ma in modo molto diverso: ora non è lui lo psicanalista che, con il metodo del colloquio “alle spalle del paziente”, per non interferire con le sue libere associazioni o i suoi ricordi del passato attraverso le domande del terapeuta, o con l’ipnosi, indotta per liberarsi dalla forza della censura che non fa riemergere l’inconscio umano, detta i tempi e i momenti del colloquio.
L’oggetto dell’esame è lui, le sue emozioni, i suoi ricordi di bambino di 5 anni che si ritrova a giocare con le mattonelle della cucina che per la prima volta in vita sua gli sembrano estranee e diverse.
Il misterioso visitatore, facendo finta di parlare di sé, racconta ed esprime invece la sua paura di essere abbandonato dai genitori, il momento in cui ha capito che suo padre non è quella figura autoritaria e onnipotente che lui da piccolo ha sempre immaginato e amato, ma come tutti gli uomini è invaso dal dubbio, dalla debolezza e dall’impossibilità di riuscire sempre e di vincere contro il mondo, nonostante l’impegno e la costanza del lavoro.
L’ANALISI – Dalla conversazione tra lui e quello che poi si presenta come “colui a cui lui non ha mai creduto e anzi negato l’esistenza”, quel Dio che nell’opera “L’uomo Mosè e la religione monoteista” ne farà uscire a pezzi, emergono le domande e le riflessioni di entrambi.
Se Freud gli rimprovera di non essere quell’onnipotente che lui dice di essere in quanto, se così fosse, avrebbe fermato la barbarie tedesca e non premesso agli uomini di arrivare a quei livelli di cattiveria e crudeltà verso altri uomini come loro, il visitatore-Dio rinfaccia al medico di aver sfidato lui stesso l’ “uomo”, di aver cercato con la ragione e la scienza di andare troppo in profondità, per scoprire e rivelare anche ciò che l’animo stesso non è in grado di comprendere e analizzare da solo, lasciandolo nudo e inerme davanti alla sua natura e alla verità.
Per entrambi il colloquio è forte, drammatico e vibrante: Dio si difende dicendo che il libero arbitrio concesso all’uomo gli impone di non intervenire in ogni circostanza, confidando nel senno e nell’amore che nutre per il genere umano, Freud, da parte sua, gli confida che avrebbe voluto credere in qualcosa di soprannaturale, di più grande e a cui avrebbe chiesto aiuto in un momento come quello, ma senza prove oggettive della sua esistenza non poteva.
Solo per un momento, forse, il suo pensiero è stato sfiorato da questo, ma ad entrambi non rimane altro che lasciarsi con il dubbio, o certezza, che questa conversazione sia stata solo un sogno o frutto della loro fantasia.
E’ proprio questo il bello: il dubbio o la certezza che la commedia lascia appena spente le luci ed a sipario chiuso.