LECCE (di Massimiliano Cassone) – Per conoscere meglio Dino Pagliari il nuovo condottiero del Lecce, abbiamo intervistato il giornalista de “La Nazione” di Pisa, David Bruschi.
David, chi è mister Pagliari?
“Pagliari non è solo un allenatore, è anche un personaggio. Nel senso che alla fine il suo essere personaggio incide direttamente sulla qualità del suo lavoro in panchina. Nel bene e nel male. È successo anche qui a Pisa, dove Pagliari è stato protagonista in due fasi diverse ma ravvicinate. E dove il suo carisma – e qui torniamo al discorso iniziale – è stato sempre e indiscutibilmente al centro della scena. In che modo? Intanto dimostrando di essere un grande motivatore, soprattutto nel breve periodo. Una specie di velocista, che rende al massimo quando ha obiettivi da cogliere rapidamente. In quelle situazioni lui è bravissimo a spremere al massimo la squadra che si ritrova fra le mani. Ne sono un esempio le sei vittorie nelle ultime sei partite del campionato, che nel 2013 portarono il Pisa ai playoff per la B. Poi c’è anche da dire che Pagliari sa mettersi al centro della scena – diventando il vero leader del gruppo – sottraendosi dalla scena stessa. Non dal campo, ci mancherebbe. Ma da qualsiasi forma di comunicazione troppo ‘mediata’. Pagliari non sopporta molto i giornalisti, non ama fare interviste o lunghe conferenze stampa. Dare spiegazioni lo ritiene inutile. Troppe domande lo infastidiscono. Preferisce il rapporto diretto con i tifosi, che passa attraverso le partite, possibilmente i buoni risultati e il feeling che lui instaura con la piazza in cui lavora. In questo senso è un allenatore che si affida molto al flusso emotivo che lui stesso è capace di generare. Un aspetto che è una forza, ma che a volte diventa una debolezza: quando pur di non contraddirsi e quindi migliorarsi, s’intestardisce in soluzioni che non funzionano quasi per un motivo d’orgoglio. E così facendo perde lucidità”.
Tatticamente pratica sempre il 4-4-2?
“A Pisa sì, sempre 4-4-2, una specie di dogma intoccabile. Interpretato in modo piuttosto lineare, ma non per questo scontato. Una delle sue caratteristiche principali è quella di chiedere alla squadra di essere reattivissima sulle seconde palle. Un atteggiamento che parte da un assunto fondamentale: in Lega Pro la tecnica latita. Dunque è essenziale sfruttare la debolezza diffusa degli avversari. In questo senso, arrivare per primi sul pallone, di fronte a un controllo sbagliato, significa riuscire a sfruttare al massimo gli errori altrui. Per farlo c’è bisogno di una forte carica agonistica e quindi che la squadra creda fortemente in ciò che gli chiede il suo allenatore. Quello di Pagliari non è mai un calcio spettacolare, ma quando funziona sa essere estremamente pratico. Il problema è quando si abbassa la carica agonistica, perché a quel punto diventa difficile sopperire con armi alternative. E allora si aprono i problemi”.
Aneddoti curiosi del personaggio.
“Essendo molto riservato, è anche difficile raccontare curiosità e tic del personaggio, che spesso rimangono inaccessibili. Quello che è certo è il suo modo alternativo di gestire il ruolo pubblico. Pochi contatti con i mass-media, un carattere parecchio schivo, un uomo che davanti ai microfoni non dirà mai una bugia o una mezza verità. Piuttosto, Pagliari preferisce non rispondere. Di fatto è restato quello che appariva ai tempi in cui era un giovane calciatore della Fiorentina, quando si presentava agli allenamenti a bordo di un semplice motorino Ciao, al contrario della maggiore parte dei suoi colleghi, già allora assai più divi di lui, che arrivavano a bordo di macchine sportive e lussuose, adatte al cliché. Il suo anti-divismo si vedeva anche nel rifiuto – così si racconta – di firmare qualsiasi tipo di autografo, di cui diceva di non capire il senso né l’utilità. Un aneddoto ‘pisano’ è invece quello che riguarda il suo non sempre facile rapporto con i medici della società. Pagliari in nerazzurro non ha mai amato interventi troppo incisivi dei dottori, soprattutto di fronte agli infortuni dei giocatori. In questo senso, è stato portatore di metodi piuttosto personali – i suoi detrattori li definiscono addirittura ‘omeopatici’ – che a volte non si sono ben conciliati con le metodologie che vanno per la maggiore nei medici sportivi. Quanto in tutto ciò ci sia di vero è difficile dirlo, perché si tratta di quelle verità su cui ognuno vuole dire la sua, che magari vengono amplificate ad arte ma che alla fine rimangono nel chiuso dello spogliatoio. Certo è che si tratta di un aspetto che a Pisa, soprattutto nella sua seconda esperienza, gli ha provocato alcuni problemi”
Pagliari ha in squadra calciatori del calibro di Miccoli e Moscardelli…
“Intanto una premessa piuttosto scontata: in Lega Pro, qualsiasi allenatore abbia la fortuna di avere in squadra giocatori del genere parte con un indubbio vantaggio, inutile nasconderlo. Ma il discorso è assai più complesso di questa considerazione. Penso che tutto sia riconducibile alla possibilità di instaurare un rapporto profondo, prima di tutto dal punto umano, con questi giocatori. Se loro lo riconosceranno come il ‘capobranco’, tutto sarà più facile. Altrimenti il rischio è che si creino situazioni più complesse da gestire. Pagliari vuole essere riconosciuto come il capo dello spogliatoio, dopo di che, se questo avviene, tutto va in discesa, almeno per quanto riguarda i rapporti personali. Poi c’è l’aspetto tecnico: di fatto Pagliari ha di fronte a sé tutto il girone di ritorno per fare risalire il Lecce in classifica. Sembra una delle condizioni che più lo galvanizzano: scuotere la squadra, farla rendere al massimo delle proprie possibilità nel medio periodo. Sì, secondo me Pagliari a Lecce può fare bene. Per lui è una grande occasione e non credo che se la lascerà scappare”.