LECCE (di Pierpaolo Sergio) – Quarto campionato di fila in Serie A. Non è un sogno, né ciò che riguarda qualche squadra qualunque, ma la splendida realtà ottenuta dal Lecce capace di andare contro ogni pronostico e ogni avversità che questa altalenante stagione ha posto lungo la sua strada. Un’impresa storica, oppure eroica, come l’ha definita il tecnico Marco Giampaolo dopo il successo ottenuto in inferiorità numerica in casa di una Lazio che cercava punti buoni per qualificarsi alle coppe europee. Un allenatore criticato, in contrasto con qualche “senatore” nello spogliatoio e mal visto da molti tifosi, ma che alla fine ha saputo anche lui riscattarsi con un finale di stagione da ricordare.
E non poteva che essere una partita da raccontare ai posteri quella interpretata da un gruppo che pareva essersi all’improvviso smarrito, finito in preda a crisi di identità, tanto da rischiare proprio nel finale di stagione di retrocedere, quando Venezia ed Empoli hanno accelerato il passo fino a raggiungere e addirittura scavalcare i salentini in classifica. Una paura che ha attanagliato cuore e gambe dei calciatori, ma anche gli animi dei tifosi giallorossi che hanno fatto incubi atroci e scatenato guerre fratricide sui social tra chi fosse più o meno dalla parte della ragione nel contestare o sostenere società e giocatori.
È allora servita la tragedia di perdere un pezzo di storia vivente che faceva parte della grande famiglia del Lecce e che risponde al nome di Graziano Fiorita per ritrovare unità di intenti ed energie impensate, facendo tutti insieme quadrato, fino a conquistare due vittorie di fila che hanno riscritto la coda di un torneo pazzo. I 6 punti arrivati dalla ultime sfide con Torino e Lazio hanno messo le ali ai piedi di capitan Federico Baschirotto e compagni. Due successi, entrambi per 1-0, che vanno a migliorare le statistiche generali di una squadra che ha fatto soffrire e non poco chi tiene a questi colori. Due reti all’attivo che portano a 27 il novero totale dei gol realizzati, che equivalgono al peggior attacco della Serie A ma sufficiente a brindare alla permanenza, andando a pareggiare quanto fece il Torino nella stagione 2006/’07. Si ferma invece a 58 il computo delle reti subite, che fanno di quella salentina la terza peggior difesa, assieme al Parma, meglio solo di Monza (69), Verona (66) ed Empoli (59).
Dalla fredda analisi dei numeri si può capire che tipo di camionato si sia vissuto in questo estremo lembo di Italia, in un Sud che spesso è considerato ancora più Sud e dove, per questo, fare calcio in maniera imprenditoriale e seria è considerato quasi un controsenso, una realtà scomoda, in cui i valori vengono prima di ogni altro aspetto. Il Lecce è stato il granello di sabbia capace di far incastrare gli ingranaggi di un calcio sempre più avulso dalla realtà e dai contesti sociali, dove la gente è solo cliente da fidelizzare o demonizzare se sceglie di non allinearsi al sistema che vorrebbe tutto ovattato, bello e pulito. L’esatto contrario di quanto invece viene propinato dalla prima all’ultima giornata, con vere e proprie farse chiamate “contemporaneità” (ma solo negli ultimi 180 minuti…), arbitri che dovrebbero spiegare in tempo reale le decisioni adottate, autoreferenzialità e VAR usato come un’arma discrezionale.
Anche ieri abbiamo ad esempio assistito alla direzione di gara di tal Michael Fabbri della sezione AIA di Ravenna, che imbellamente ha mostrato a Santiago Pierotti due cartellini gialli assai discutibili negli unici due presunti falli commessi dal calciatore argentino, con conseguente cartellino rosso. Lecce lasciato in 10 uomini a giocarsi la salvezza in trasferta per oltre un tempo, per di più vittima di un atteggiamento sprezzante e intimidatorio a senso unico, come dimostrano le susseguenti espulsioni dalla panchina del team manager Claudio Vino, di Ante Rebic e di un collaboratore di mister Giampaolo. L’espulsione del laziale Romagnoli è giunta solo al 95°, a gara cioè virtualmente conclusa ma non per l’ennesimo fallo su un avversario, bensì per gli urlacci sbraitati verso il primo assistente dell’arbitro. Ecco perché essersi salvati in un contesto oggettivamente ostile, dopo dolori e sofferenze che tutti in questa città ricorderanno negli anni, rappresenta un motivo di orgoglio e vanto per una società ed una tifoseria che sanno di essere scomode ma che preferiscono remare controcorrente anziché allinearsi alle logiche sgangherate di questo calcio.