LECCE – Direttamente dalla sua Vernole, Pantaleo Corvino ha deciso di accogliere a casa propria la Gazzetta dello Sport, che ha voluto dedicargli una puntata della serie “Classe Dirigente“, format YouTube della rosea. In compagnia dell’intervistatore Francesco Calvi, il responsabile dell’area tecnica del Lecce si è raccontato a tutto tondo, fra i segreti del mercato da lui ben conosciuti, i colpi più importanti accompagnati da quelli andati a vuoto per pochissimo ed il presente alla guida della dirigenza della società capitanata dal presidente Saverio Sticchi Damiani, militante in Serie A da quattro stagioni di fila.
L’interessante video-intervista parte dalla sua abitazione, rimessa a nuovo proprio come fosse una squadra di calcio: “Questa era una tenuta senza un albero, c’era solo un trullo, un pajaro, caduto a terra. L’ho rimesso in piedi, ora ci sono delle piante grasse belle pronunciate ma erano piccole, anche loro sono diventate qualità da potenzialità, come si fa con i calciatori. A volte d’inverno vengo a lavorare qua dentro. Non ci sono i termosifoni ma d’inverno si sta caldi e d’estate si sta freschi. Nelle vene mi scorre un po’ di sangue contadino che viene da mia madre, ho ereditato qualcosa dal suo DNA. La Xylella ha fatto morire una parte di questo territorio… qualche albero che sta resistendo lo accudisco come un bambino, quindi li ho presi da un altro mio terreno, ma ne avevo 1200. Ci sono degli alberi secolari che rappresentano i punti cardinali, mi danno la direzione da prendere nella vita”. Nel giardino di casa Corvino c’è anche una grande opera religiosa, ossia un braccio ferito che innalza un pallone verso una croce: “Devo tutto a Gesù attraverso il pallone, gli devo grazie anche in un momento in cui sta per morire, il braccio è sofferente, squarciato. Anche io ho sofferto per raggiungere obiettivi come lui, non sono morto, ma il braccio squarciato è una similitudine. Se fossi un artista sarei un artista che cancellerebbe tutto per dare solo passione per il calcio, anzi. cancellerei anche il calcio, userei solo la parola passione“.
Il navigato dirigente ha dunque voltato pagina iniziando a parlare di calcio, ricordando in primis il mancato arrivo a Firenze di Nemanja Vidic, uno dei centrali difensivi più forti in circolazione a cavallo fra gli anni ’00 ed i ’10: “Vidic mi piaceva molto, l’avevo visto in Serbia e poi andò in Russia. Nel secondo anno lo volli fortissimamente a Firenze e feci pagare alla Fiorentina la clausola di 6,5 milioni di dollari per lui. Nel frattempo, andai a Mosca tre volte a parlare col ragazzo e la moglie. Quando feci il nome di Della Valle, portai una borsa per lei e ne fu compiaciuta. Dovevo però cedere un extracomunitario per liberare il posto, quindi nel giorno di Santo Stefano vedevo il Manchester United. Si fece male Rio Ferdinand ed il giorno di Capodanno, mentre chiamai per gli auguri, non ricevetti risposta da Vidic e dal procuratore. Il Manchester United lo aveva preso pagando 20 milioni di dollari con un contratto di cinque anni a 2,5 milioni di euro mentre io gli offrii 800mila euro, ci rimasi male. Successe che l’Inter poi prese Vidic e la prima partita fu a Firenze, un Fiorentina-Inter in cui andai in panchina. Dalla Curva Fiesole uscì uno striscione con su scritto ‘Vidic portaci la borsa’“. Figura fra i nomi sfiorati dal vernolese anche quello di Arturo Vidal, non giunto per poco in Toscana: “Al Bologna presi Pulgar, ma avevano in comune lo stesso procuratore, Felicevich. Quando arrivò a Firenze mi regalò una maglia di Vidal con una dedica particolare all’allenatore – Cesare Prandelli, ndr – che non permise il suo passaggio alla Fiorentina. Il mio orgoglio? Vlahovic pagato 1 milione di euro a 17 anni e rivenduto per 80 milioni. Una bella plusvalenza, che va alla società e non ai direttori, delle entrate che fanno tirare il fiato. Il mio viaggio più strano fu quello in cui andai a vedere un giocatore in Sudafrica. Prendo l’aereo da Brindisi per Milano, arriviamo lì e il giorno dopo vediamo la partita passando in mezzo a strade stranissime, con lo stadio come una cattedrale in mezzo al deserto. Il giocatore da visionare aveva il numero 7, stop, dribbling abbozzato e infortunio al primo pallone toccato con cambio richiesto. Tornai senza aver visto il giocatore”.
Corvino ha quindi continuato sottolineando quella che è la sua grande vocazione per i talenti, concludendo poi con un sunto di quella che è una carriera da 51 anni nel mondo del calcio: “A differenza dei miei colleghi ho una vocazione per il settore giovanile, la differenza è sapere che per la prima squadra servono qualità conclamate, mentre nel settore giovanile si lavora sulle potenzialità. Intravedere è più difficile di vedere, lo feci con Miccoli, Bojinov, Vucinic. La qualità non ha età e lo dimostro coi fatti, Camarda è un ragazzo a cui puoi dare 22-23 anni. Non c’è solo l’idea di giocare coi giovani, devi sapere su quali cavalli puntare, i talenti sono dei purosangue, hanno istinti dati dal Padre Eterno. Noi dobbiamo svilupparlo con allenatori, strutture e migliori attrezzature, la conoscenza però serve insieme al talento, noi dobbiamo portare i ragazzi alla cultura della conoscenza e del sapere. Un talento senza il sapere non diventa importante. Giorni fa ero a Milano a cena con degli addetti ai lavori, c’era una persona che spesso mi accompagnava in Serbia. Mi disse: ‘Il sindaco di Belgrado che si vuol fare promotore per darti la cittadinanza slava’. Jovetic, Vlahovic, Nastasic, Milenkovic, Savic… degli sconosciuti che hanno arricchito il loro paese. Pianifichiamo tenendo conto che facciamo tutto in autofinanziamento, in sostenibilità e senza debiti, e facendo risultati. Il mercato estivo è più pianificabile di quello invernale, si mettono a frutto le idee durante l’anno e si semplificano. Gennaio è invece meno pianificabile, c’è meno prodotto, durante le ultime ore sembriamo come in sala parto. Quest’anno è partito il mio 51° compleanno nel calcio, 15 anni li ho fatti partendo dalla Terza Categoria con due proprietà. Negli altri 35 anni ho avuto quattro proprietà, con la Fiorentina ho raggiunto quattro volte la Champions League. Potevo salire su qualche treno, forse avrei potuto raggiungere lo scudetto, l’obiettivo che mi manca, ma non rimpiango nulla quando sto bene con proprietà che mi stimano io sono contento“.