LECCE (di Pierpaolo Sergio) – Si chiude dopo sole 24 partite (tra campionato e Coppa Italia) l’esperienza di Luca Gotti sulla panchina del Lecce. Il tecnico di Adria era arrivato nella scorsa stagione, a 10 partite dalla fine del campionato, per sostituire Roberto D’Aversa, sollevato dall’incarico di allenatore della prima squadra giallorossa dopo la testata rifilata al francese Henry dopo la sconfitta interna contro il Verona.

Per uno strano scherzo del destino, proprio ieri sera i due allenatori si erano incrociati al “Via del Mare” nello scontro-salvezza Lecce-Empoli, terminato 1-1, ma che ha mostrato quanto la squadra leccese, al momento, sia più che altro un gruppo sfilacciato e disorientato, in cui non mancano le tensioni interne allo spogliatoio, sfociate a più riprese in invettive contro l’allenatore (vedi Ramadani dopo la sostituzione con il Parma), il pubblico (ieri Rafia verso i tifosi della Tribuna Centrale che mugugnavano perché tenesse troppo palla tra i piedi), ma soprattutto nel duro faccia a faccia tra Coulibaly e Rebic nel finale di gara e dopo il triplice fischio.

Una situazione esplosiva e di difficile gestione, con Gotti che è sembrato sempre più abbandonato al proprio destino, mai affiancato dalla dirigenza nei momenti cruciali e con numerosi elementi che dimostrano di non seguire il tecnico. Ecco allora che, dopo la gogna mediatica delle ultime settimane, tocca a lui salire sul patibolo e pagare per colpe certamente anche sue, ma non solo.

La contestazione degli Ultrà Lecce sfociata ieri sera nell’esposizione in Curva Nord di un eloquentissimo striscione, seguito dal fitto lancio di bengala e qualche bomba carta è stato l’ennesimo segnale che la pazienza della frangia più calda del tifo leccese è colma e che ci si è stancati di aspettare improbabili segnali di resurrezione che non arrivano mai. Da quei gradoni sono partiti cori contro la società, senza distinzione di ruoli, con due destinatari in particolare: il presidente Saverio Sticchi Damiani (“Presidente guarda che partita…“) e il Direttore dell’Area Tecnica Pantaleo Corvino (“Vattene da Lecce, oh Corvino vattene da Lecce“). Se oggi a Gotti è stato dato il benservito, vuol dire che ai piani altissimi del sodalizio di via Costadura quel messaggio è arrivato. Si taglia il ramo più facile da potare, nella speranza che la pianta si riprenda e torni a fiorire e crescere.

Va detto che l’allenatore (mai contestato ufficialmente) ci ha messo del suo nel rendere più complicato il cammino di una squadra assemblata male, all’improvviso smarrita ed impaurita dopo il 2-2 subito in rimonta contro il Parma. Fino ad allora il Lecce era apparso in grado di giocarsi le proprie carte in chiave salvezza, nonostante una avvio di calendario poco benevolo e qualche infortunio di troppo. Tutto d’un tratto, invece, qualcosa si è rotto. Troppi interpreti di primo piano hanno inziato a rendere al di sotto delle possibilità, mentre altri hanno palesato pochezza tecnica e mancanza di esperienza per giocare ad alti livelli. Gotti ha forse avuto il demerito di avallare ogni scelta di mercato che ha portato in rosa gente senza quella minima qualità che permettesse di ovviare alle pur sacrosante cessioni dei big per l’esigenza di tenere in equilibrio i bilanci, ma in tanti giunti in estate nel Salento si sono rivelati scommesse troppo ambiziose per giocarsi le chance di permanenza per il terzo anno di fila in Serie A.

Con il campionato che si appresta a vivere un altro turno di sosta, la dirigenza ha optato per il cambio di allenatore, nonostante il contratto biennale firmato in estate. Si spera di utilizzare al meglio le due settimane di tempo che il torneo propone per scegliere il prossimo tecnico a cui affidare un gruppo pieno zeppo di contraddizioni tecnico-tattiche. Una bella gatta da pelare, a cominciare dal famigerato modulo con cui schierare questo Lecce, apparso finora incerto sia con il 433 che con il 4231. Gli esperimenti fatti da Gotti in queste 12 giornate di campionato (più due turni in Coppa Italia) si sono rivelati spesso vani, talora cervellotici, così come l’attesa di riavere a disposizione gli infortunati usciti via via dai radar. Per non parlare di quegli elementi arrivati in pompa magna, vedi Marchwinski, e finiti in naftalina senza una chiaro motivo.

Se a Lecce arriverà un motivatore ed un allenatore con le idee chiare il tempo per ricompattare l’ambiente e tornare a recitare un ruolo da degni pretendenti alla salvezza c’è tutto. Il mercato di riparazione di gennaio sarà però un jolly da giocarsi con coraggio, lungimiranza, ambizione e senza braccino corto. La Serie A rappresenta un patrimonio inestimabile non solo per la società, ma per tutto il territorio leccese.

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