LECCE (di Italo Aromolo) – Si mescolano certezze e dubbi nel giudizio di Cosenza-Lecce 1-1, in sospeso tra buoni propositi e rimpianti per una partita costantemente dominata dal Lecce sul piano tecnico, delle occasioni da gol, del predominio territoriale, ma non vinta. Ed è questa l’unica sentenza che emette il match.
Mentre le lancette dell’orologio del campionato scoccano, discutere del trend di crescita del gruppo di mister Corini non porta punti in classifica: Coda e compagni hanno creato un diluvio di occasioni da rete, più di dieci, dando la sensazione di graffiare col ferro ogni volta che si affacciassero dalle parti del diligente portiere avversario Falcone, salvo poi sfiorarne i guanti con l’ovatta.
È stata la prova del Lecce più consistente per produzione offensiva dall’inizio del campionato ad oggi, e non certo per i demeriti dell’avversario, il cui livello sintetizza abbastanza bene la media della cadetteria. La compagine salentina ha giocato per la prima volta dall’inizio con due attaccanti di peso, Coda e Stepinski in un 4-3-1-2 a trazione anteriore. Il modo di attaccare ne ha tratto beneficio: contro la Cremonese si era visto un circumnavigare l’area di rigore avversaria abbastanza fumoso, contro il Cosenza un più ficcante penetrare verticale che ha portato alle 27 conclusioni a rete leccesi.
Vietato specchiarsi, però, nelle celebrazioni autoreferenziali delle proprie doti offensive: il parametro di riferimento per la valutazione restano i risultati e per ora languono (1 vittoria in 5 partite). Confidare nella propria forza per recuperare in futuro può sdoganare il peggior lato dell’atteggiamento agonistico, nel frattempo: supponenza, disattenzione, superficialità. Finché non sarà troppo tardi: la storia recente dei campionati di formazioni retrocesse dalla Serie A, dall’Empoli passando per il Chievo o la Sampdoria di qualche anno fa, ammonisce. Anche raggiungere i play-off potrebbe diventare una chimera, se non si è sul pezzo della concentrazione e dell’umiltà.
Per un reparto d’attacco complessivamente promosso, non si può dire altrettanto della difesa: è lecito aspettarsi una maggior solidità da Lucioni, Dermaku & Co, interpreti che non hanno certo nella tecnica individuale il proprio limite. Il portiere leccese Gabriel è risultato tra i migliori in campo, esposto alle incursioni dell’operaio Cosenza da una retroguardia spesso inutilmente sbilanciata: a non funzionare è sembrata la fisarmonica di collegamento difesa-centrocampo, con la mediana che ha aiutato poco forse per l’assenza di una mezz’ala di interdizione difensiva pura, com’era Petriccione.
Il Lecce ha sfidato anche l’arbitraggio: dopo il gol ingiustamente annullato a Meccariello in quel di Brescia, domenica il gol del pareggio di Gliotti è stato convalidato, nonostante la posizione di fuorigioco, e il rigore di Coda non è stato ripetuto perché l’invasione dei difensori del Cosenza dell’area prima della battuta, che ha impedito il tap-in all’attaccante leccese, non è stata vista dall’arbitro. Ci si ritrova così a commentare non-partite, in quanto letteralmente falsate dall’assegnazione “casuale” dei gol.
Nel terzo decennio del XXI secolo, in tempi di VAR, è una situazione davvero kafkiana: miliardi di persone hanno accesso, a costi irrisori, alle immagini televisive per prendere decisioni corrette senza aver fatto scuole di arbitraggio, tranne le sole deputate a decidere, ovvero il direttore di gara e i suoi assistenti, esposti così ingenuamente ad errori gravi ed grossolani. Quando arriverà la tecnologia per gli arbitri in Serie B sarà sempre troppo tardi.