LECCE – La Vigilia dell’Immacolata è una data particolarmente sentita e celebrata ancor oggi in tutto il Salento. Tra i secolari usi e costumi salentini resiste, infatti, nei confronti della Madonna Immacolata una devozione profondamente radicata che si esplicita, nella forma più esteriore, con il “digiuno a pane ed acqua” in segno di devozione. Gli studenti uscivano in anticipo da scuola per andare a casa e consumare insieme alla famiglia la puccia con le olive nere.
In passato nel Salento, per celebrare la vigilia dell’Immacolata, venivano scrupolosamente rispettate alcune tradizioni. Tra queste, vigeva l’usanza di lasciare spenta la cucina, senza preparare neppure il caffè o il latte caldo. Come tradizione e impegno religioso, si digiuna per ringraziare la Madonna con un sacrificio inteso come purificazione del corpo e dell’anima.
Quelle caratteristiche manifestazioni della vigilia dell’Immacolata restano vive anche ai nostri giorni, soprattutto nei paesi della provincia: il digiuno, le pittule ripiene di baccalà o di cavolfiore ed il pranzo di magro, quello cioè in cui ci si astiene dal mangiare ogni tipo di carne. Tradizione vuole, pertanto, che si osservi il digiuno fino a mezzogiorno quando le pucce con tonno, capperi, alici e formaggio e le pittule, variamente condite e farcite a seconda dei gusti e della fantasia di chi le prepara, lo interrompono. Non si apparecchia la tavola, i commensali non si siedono e si servono da soli, farcendo la propria puccia con le olive nere con un po’ di tonno in olio d’oliva, capitone arrosto, alici o pesce fritto.
Ma di sera ci si ritrovava tutti a tavola per una ricca cena a base di frutti di mare, cime di rape, pasta al sugo di cozze e pesce. Alla fine, frutta fresca, preferibilmente finocchi e verdure crude, accompagnate dalla frutta secca.