LECCE – Abbiamo intervistato Stefano Di Chiara uno dei pilastri del Lecce di Eugenio Fascetti che conquistò la prima, storica promozione in Serie A. Un combattente in campo e nella vita, un uomo che in modo orgoglioso è contento di non dover dire grazie a nessuno.
Stefano Di Chiara, 117 presenze, 1 gol con la maglia giallorossa e una storica promozione in A. Quali sono i ricordi più belli che conserva di Lecce e di quel Lecce?
«Per me il Lecce è una grande storia d’amore fatta di sentimenti veri, passione, senso di appartenenza, emozioni forti che porterò dentro per tutta la vita. Con mio fratello, mio figlio, l’esaltazione di una vittoria unica, la prima. La tragedia di Ciro e Michele, la surreale gara di Varese, il vuoto nello spogliatoio, il gruppo unito che reagisce, il figlio di Micio Orlandi, la figlia di Pezzella. La rabbia, lo sgomento; eravamo una squadra con gli attributi veri, non temevamo più niente e nessuno. Avevamo capito che si poteva fare, anche se non eravamo ben graditi, già dalla prima partita a San Benedetto… La squadra cresceva e Fascetti era un uomo vero, un tecnico ‘maschio’, non una signorina. C’era rispetto e stima anche se nel nostro spogliatoio i confronti erano cruenti, tra noi volavano parole grosse. Franco Jurlano, Mimmo Cataldo, la società tutta fece blocco, si vince così e così abbiamo vinto».
Da allenatore tante esperienze ed una promozione in prima divisione col Como, poi Cerveteri… Ed ora?
«Ho allenato di tutto e di più, dai dilettanti alla B, sempre in situazioni compromesse e piene di problemi. Ma non vedete come funziona questo mondo del calcio odierno? Se sei bravo, onesto, se hai personalità e hai una storia pulita, sei stranamente fuori dal giro. Il calcio non è altro che la rappresentazione del nostro Paese, una vergogna. C’è troppa gente di malaffare che col calcio non c’entra niente».
Intorno alla panchina del Lecce sono fatti diversi nomi, da Toscano a Mangia, includendo Asta. Ma nelle ultime ore i nomi forti sono Atzori, Gautieri e Dionigi. Se dovesse consigliarne uno alla nuova proprietà, chi consiglierebbe?
«Mi ha fatto i nomi di allenatori che conosco poco, ma almeno Asta e Toscano hanno un minimo di storia. Mangia chi è? Da dove esce fuori? Nel nostro spogliatoio sarebbe durato 4 minuti… Facevano fatica Fascetti e Mazzone, immaginate un po’ voi».
L’allenatore a cui lei si ispira e quello cui è rimasto più legato.
«Fascetti e Mazzone sono i miei due punti di riferimento; loro sono allenatori e non questi cantastorie di oggi che fanno calcio virtuale e giocano alla Play Station, mi fanno ridere».
Sogna di tornare a Lecce come allenatore e magari ottenere una nuova storica promozione?
«Tornare a Lecce da allenatore sarebbe l’arrivo finale di un percorso iniziato nel ’75 tra i professionisti. La famiglia Di Chiara ha una storia che non è ancora finita, sarebbe bellissimo e giusto. Ci tengo a dire una cosa: avete visto due giocatori che ho scelto e fatto crescere? Parlo di Papini e Salvi, scommetto che non gli manca la grinta e che non tolgono mai il piede come… me! Un abbraccio a Lecce, ai leccesi ed al mio Lecce, un abbraccio da chi vi ha dato tutto e che ha ricevuto tantissimo, forse anche di più. Grazie!»