LECCE (di Carmen Tommasi e Gabriele De Pandis) – Il Lecce, dopo tre anni affidato alla guida della famiglia Tesoro, cambierà gestione e passerà nelle mani della cordata tutta salentina capeggiata dall’avvocato leccese Saverio Sticchi Damiani. Dopo tre campionati di fila, il vulcanico Savino Tesoro (in accordo con il figlio e diesse Antonio, la moglie Maria e le due figlie; la vicepresidentessa Giulia e la piccola Francesca), in maniera combattuta, ha deciso di vendere il club di Piazza Mazzini, mettendo così la parola fine a questa pagina di storia di calcio leccese. Tre campionati in cui l’obiettivo dichiarato è sempre stato quello della promozione diretta e poi mai raggiunto in questi tre anni. Qui di seguito, proviamo a capire con il solito e approfondito giochetto del “perché sì” e del “perché no” se la gestione Tesoro può essere definita o meno fallimentare.
PERCHÈ SÌ – Ben sette allenatori (Franco Lerda, Antonio Toma, Elio Gustinetti, Francesco Moriero, ancora Franco Lerda, Dino Pagliari e Alberto Bollini) si sono succeduti sulla bollente panchina del Lecce in soli tre campionati della gestione Tesoro con l’acclamato obiettivo della serie B, ma nessuno degli appena citati condottieri è riuscito a raggiungere il traguardo prefissato ad inizio stagione. C’è chi come il tecnico di Fossano ci è andato vicinissimo per due campionati di fila, chi come Gustinetti ha fallito proprio negli spareggi playoff, chi come il leccese Moriero ha perso malamente 4 gare di fila, chi come Dino Pagliari è stato esonerato solo dopo 5 partite (con il bottino di due pareggi, due vittorie ed una sconfitta) e chi , infine, come Alberto Bollini chiamato per risuscitare un Lecce ammalato in 15 gare (9 vittorie, 1 pareggio e 5 sconfitte) non è riuscito a portare il Lecce, nonostante il bel gioco fatto vedere in alcuni frangenti, nemmeno ai playoff. La portata e la difficoltà dell’obiettivo-promozione ha impedito la nascita di un progetto tecnico con al centro un allenatore, impossibile da tutelare vista la spasmodica ricerca dell’happy ending mai arrivato in questi tre anni. A tal riguardo, la riconferma di Franco Lerda dopo la partita di Frosinone è sembrata una sorta di pianificazione, ma alla lunga lo scarso rendimento di questa stagione ha costretto la proprietà a rivedere i piani. Il dato dei numerosi cambi rimane agli almanacchi.
– Con la famiglia Tesoro al timone del club di Piazza Mazzini si sono, quindi, perse in malo modo due finalissime playoff (prima con il Carpi e poi con il Frosinone) con una squadra arrivata, in entrambi i casi, con il fiato corto, fisicamente e mentalmente stanca (e con lo spogliatoio in “frantumi”?). Non in grado di vincere delle partite che sulla carta sarebbero potute essere più che abbordabili per i salentini. E come se non bastasse, nella stagione 2014-15 il Lecce non è riuscito ad agguantare nemmeno l’obiettivo minimo, gli spareggi playoff. La sensazione di “braccino” patita negli appuntamenti importanti è un altro punto di continuità dei tre anni “tesoriani”. Il Lecce ha avvertito sempre quel surplus cattivo di pressione quando c’erano da affrontare gli appuntamenti topici delle stagioni. Non solo le finali. Lecce-Trapani e Lecce-Carpi della prima regular season e Lecce-Perugia della seconda hanno evidenziato questo gap. L’inizio di questa stagione, con un Lecce vittorioso contro le big Salernitana e Benevento sembrava invertire la tendenza, ma con tutti quelli scivoloni contro le piccole…
– L’errore fondamentale dell’ultimo campionato è stato fatto anche nel calciomercato di gennaio dal diesse Antonio Tesoro: bisognava svecchiare la rosa (obiettivo raggiunto) e serviva una prima punta di ruolo (come vice Moscardelli) che non è arrivata a rinforzare la rosa di Bollini, mentre sono stati ingaggiati ben sette esterni offensivi che poi sono risultati dei doppioni e poco utili alla causa, quasi sempre relegati in panchina (Carlos Embalo, Eric Herrera, Gustavo Di Mauro Vagenin e Jacopo Manconi), cedendo paradossalmente Della Rocca, l’unico potenziale alter ego del Mosca. Rosa sicuramente di qualità e forte, ma non adatta alla categoria e con pochi elementi adattabili alla terza serie.
– Una rosa quindi forte e competitiva sulla carta, paradossalmente più adatta per una discreta serie B di metà classifica, ma non per un campionato di Lega Pro dove ciò che serve maggiormente non è la tecnica, ma la corsa, i nervi e l’entusiasmo. L’aspetto che ha pagato di più Tesoro junior è stato sicuramente la sua inesperienza: il 33enne figlio di Savino, amante del calcio, ha peccato a volte di scelte ingenue e del tesserare giocatori con ingaggi più onerosi che poi non hanno resto come dovuto (e questo in tutte e tre le stagioni).
– Serviva, inoltre, (anche si era in una società di terza serie) un direttore generale, figura che è mancata in tutti i tre anni della gestione della famiglia di Spinazzola. Un uomo maturo, cresciuto con “pane e calcio” e soprattutto abile a gestire uno spogliatoio ed un ambiente delicato, come quello di una piazza importante come Lecce.
PERCHÈ NO – Nella presentazione della gestione triennale della famiglia Tesoro non va trascurato un particolare importante, forse vitale: è stato proprio l’imprenditore di Spinazzola a salvare le sorti del calcio leccese dopo le irrevocabili dimissioni di Giovanni Semeraro. In assenza del passaggio di consegne, gli scenari potenziali per la maglia giallorossa sarebbero potuti essere poco rosei già dal 2012.
– Due finali perse ma due finali giocate appunto. Senza scomodare il luogo comune “le finali le perde solo chi le gioca”, e senza impelagarsi in dettagli tecnici ampiamente analizzati nelle varie analisi, vanno dati anche i giusti elogi ad un gruppo capace di compattarsi in fasi topiche costruendo tanti mattoncini di un castello però non completato con l’ultimo tassello. Più per inerzia nel primo anno, in grande stile nel secondo. La rimonta targata Franco Lerda, dopo gli zero punti nell’interregno di Francesco Moriero, resta un’impresa sportiva di cui non si possono dimenticare i molteplici aspetti positivi. La fiducia della società nel gruppo ha giocato un ruolo fondamentale.
– I tre anni della famiglia Tesoro sono stati caratterizzati da quella ricerca di vicinanza con il tifo e con l’aspetto emozionale del calcio anche e soprattutto nella costruzione delle squadre e dei suoi condottieri, indipendentemente poi dai rendimenti delle “creature” che non si sono sempre rilevati corrispondenti alle attese. Chevanton il primo anno, Miccoli nel secondo e Moscardelli nel terzo sono stati i colpi ad effetto di Tesoro junior per cercare quantomeno di scaldare un pubblico a tratti troppo freddo nel seguire le sorti della squadra. Tutti in casa Tesoro, compresa l’anziana “nonnina”, erano i primi tifosi del Lecce: un amore per la squadra e per i colori giallorossi che, sicuramente, continuerà anche con il passaggio di consegne alla nuova proprietà.