LECCE (di Pierpaolo Sergio) – Il Lecce pare aver smaltito il “mal di trasferta” di cui soffriva in avvio di stagione. La squadra giallorossa ha infatti portato a casa un successo dal peso specifico immenso contro l’Aversa Normanna e, pur senza fare sfraceli, ha incamerato l’intera posta in palio, mettendo altro fieno in cascina. Il successo allo stadio “Bisceglia” significa aver allungato la serie positiva a 5 turni il che, per chi bada al concreto, potrà pure equivalere ad un freddo dato statistico, ma che invece racchiude in sé alcuni elementi fondamentali per capire la metamorfosi in atto in seno alla formazione di mister Franco Lerda.
Come una crisalide, infatti, il Lecce si sta trasformando col passare delle settimane in una farfalla splendida. Il brutto anatroccolo che si tramuta in cigno, se preferite. Di certo, l’11 salentino ha cambiato pelle e marcia da subito dopo il nefasto ko di Messina. Lì si toccò il punto più basso di questa terza stagione in Lega Pro. Un gruppo sfilacciato e alle prese con problemi di varia natura, dopo la sconfitta e la pioggia di critiche piovutegli addosso, si guardò negli occhi, si confrontò con la proprietà nel chiuso dello spogliatoio e strinse un patto di ferro che sta portando i suoi frutti.
Se poi c’è sempre qualcuno che storce il naso, a cui basti uno sternuto per parlare di pericolosissima epidemia, i numeri stanno lì, insindacabili ed immutabili nella loro concretezza a dimostrare come il Lecce, questo Lecce, possa permettersi addirittura il lusso di non brillare ma di ottenere ugualmente il bottino pieno col minimo sforzo. Lo 0-1 conquistato ieri con qualche patema pur evitabile rappresenta comunque una vittoria importante. La classifica dei salentini è ancor più intrigante e il ruolino di marcia ingranato dalla truppa di Miccoli e compagni è un ottimo crivello per la mente delle dirette concorrenti alla promozione finale in Serie B.
Davide Moscardelli, con il suo gesto tecnico meritevole di ben altre platee e categorie, ha consegnato lo scalpo di un’Aversa che sì è la cenerentola del Girone C, ma in settimana aveva cambiato allenatore ed è regola non scritta del calcio che il cambio in panchina spesso coincida con una prestazione positiva. Inoltre, il Lecce giocava ancora una volta su di un terreno al limite della praticabilità, sul quale le insidie si nascondevano in ogni giro che la la sfera compiva su un campo saponoso, scivoloso e pieno di buche coperte alla meno-peggio. Come se non bastasse, la seconda vittoria consecutiva della stagione in trasferta è arrivata anche in questo caso in Campania. Le difficoltà ambientali che si possono incontrare giocando in quegli stadi notoriamente “caldi” non fanno poi che aggiungere ulteriore valore all’affermazione colta dalla formazione leccese.
Infine, proprio quei tifosi giallorossi che lamentano le mancate goleade contro squadre più deboli, che navigano nei bassifondi della classifica, dovrebbero ricordare una lezione passata alla storia in termini di presunzione e sottovalutazione dell’avversario. Fu proprio il derelitto Lecce di Eugenio Fascetti, già abbondantemente retrocesso e senza più alcuno stimolo, nella prima stagione in Serie A, a scucire dalle maglie della Roma uno scudetto che pareva ormai cosa fatta. Roma-Lecce 2-3 dell’aprile 1986 è lì ad imperitura memoria calcistica a ricordare come abbassare la guardia e fare gli spavaldi possa essere paragonabile al giocare col fuoco…