LECCE (di Italo Aromolo) – Cesare Prandelli non è un allenatore qualunque: è il Commissario Tecnico della Nazionale Italiana, allenatore di quelle 11 maglie azzurre che rappresentano l’intero paese nello spazio di un rettangolo verde. Undici Azzurri che, come il premier nella vita civile o il Papa nella vita religiosa, hanno il dovere morale di essere d’esempio per milioni di appassionati: l’influenza mediatica della Nazionale è ben più ampia di quella delle squadre di club, arrivando a coinvolgere intimamente anche chi non è solito seguire il calcio con regolarità. Ben consapevole di questo ruolo che vuole la cultura sportiva di un popolo come specchio della propria Nazionale, il cittì ha proposto una nuova idea di calcio per la sua Italia, come uno sport che sia realmente un modello da perseguire, non solo per gli assist no-look, i dribbling ubriacanti o le sciabolate morbide, ma soprattutto per quei valori come onestà, correttezza e trasparenza di cui il progetto di Prandelli si fa banditore.
La idea prandelliana di un calcio privo di tutte quelle scorrettezze che avvelenano l’Italia del pallone si è concretizzata nell’ormai rinomato strumento del Codice Etico: un sistema di leggi non scritte in base al quale qualsiasi calciatore azzurro che in campo si renda protagonista di gesti violenti e/o antisportivi venga punito con l’esclusione dal gruppo nazionale per un periodo di tempo più o meno lungo a seconda della gravità del misfatto compiuto. Il tutto a discrezione unica del cittì stesso, che decide di caso in caso se, quando e come applicare la tagliola del Codice, indipendentemente dalle decisioni del Giudice Sportivo o della società di appartenenza.
A partire dalla sua istituzione (fine 2010), il Codice Etico ha già mietuto numerose vittime eccellenti: la prima, nel marzo 2001, è stato l’allora attaccante del Manchester City, Mario Balotelli, che non fu convocato per le gare contro Slovenia e Ucraina a seguito di un intervento-killer (contro la Dinamo Kiev in Europa League) che gli costò ben 4 giornate di squalifica. Il centrocampista della Roma Daniele De Rossi si può ritenere un autentico perseguitato, essendo incappato per quattro volte nella trappola prandelliana: in tre casi il gesto incriminato è stato una gomitata, rifilata di volta in volta a Srna (marzo 2011, Shaktar-Roma di Champions League), a Bentivoglio (giugno 2011, Bari-Roma) e a Mauri (novembre 2012, Roma-Lazio), mentre nel marzo scorso è stato un pugno inferto all’attaccante dell’Inter Mauro Icardi ad impedirgli di presenziare all’amichevole contro i campioni del mondo della Spagna. Piuttosto singolare la storia dell’ex attaccante del Lecce Pablo Daniel Osvaldo, epurato l’estate scorsa dall’intera manifestazione della Confederations Cup per aver ridicolizzato via Twitter il suo allenatore romanista Aurelio Andreazzoli: “Facevi più bella figura se ammettevi di essere un incapace, vai a festeggiare con quelli della Lazio..”. Nel febbraio 2013 invece, il difensore juventino Leonardo Bonucci ha pagato amaramente nel corso di Juventus-Genoa un “atteggiamento intimidatorio nei confronti di un arbitro addizionale”: la prand-pena è stata la mancata convocazione per un amichevole con l’Olanda. Non mancano i casi in cui il Codice Etico ha palesato poca flessibilità e fin troppa severità: è il caso del difensore scuola Genoa Mimmo Criscito, che nel giugno 2012 si è visto privato dell’occasione della vita (la spedizione a Euro 2012) sol perché ritenuto poco sereno a seguito del suo coinvolgimento (poi risoltosi nel proscioglimento) nello scandalo del Calcioscommesse.
Quando mancavano ormai pochi giorni all’inizio del Mondiale (e dunque un’eventuale sgarro, a rigor di coerenza, poteva comportare l’esclusione brasiliana), sono finiti sul banco degli imputati Mattia Destro e Giorgio Chiellini, rei di un’infrazione molto simile rispettivamente in Cagliari-Roma e in Roma-Juventus (per entrambi si è trattato di una gomitata all’avversario in una mischia d’area di rigore): tuttavia, mentre l’attaccante della Roma è stato punito con l’esclusione dall’ultimo stage pre-Mondiale, il pilastro juventino è stato pienamente assolto perché il suo gesto, a detta del cittì, è stato ritenuto privo di intenzionale violenza.
Una disparità di trattamento che aveva scatenato una vera e propria baraonda mediatica a livello nazionale: i più maliziosi parlarono di codice “pat…etico” modulato dal cittì “ad personam” in base allo spessore del giocatore di turno (Chiellini riveste indubbiamente un ruolo di maggiore importanza nell’economia azzurra) e alle necessità del momento. Considerando le prestazioni tutt’altro che esaltanti dello juventino a Brasile 2014, in tanti rimpiangono la non applicazione di quelle norme anche per “Chiello”, riaccendendo questa polemica, per una volta non priva di fondamento.
La risposta alle accuse da parte dell’ex tecnico di Lecce, Roma e Fiorentina è tutta in un’affermazione resa alla Gazzetta dello Sport: “Le polemiche? Lo specchio di un Paese in cui tutti sono contro tutti. Il Codice Etico nacque quattro anni fa, quando Balotelli era a Manchester: non aspettai la decisione del giudice sportivo inglese e lo convocai perché per me non aveva commesso un atto violento. Nessuno disse nulla. In Italia c’è troppa faziosità. Non mi sento schiavo del codice etico, ho sempre deciso io in base a ciò che vedevo e sentivo. E lo farò ancora tutte le volte che vedrò un giocatore andare fuori dal comportamento sportivo. Il gioco antisportivo resiste solo in Italia, pensateci. Al nostro calcio mancano i dirigenti. Servono dirigenti che sappiano dire ad un giocatore che ha sbagliato invece di abbracciarlo dopo un’espulsione. Chiellini era in barriera, voleva fare un blocco e non dare una gomitata”.
Prandelli dunque non lascia, e anzi raddoppia: nel Mondiale in corso, il cittì promette non solo la l’applicazione rigorosa del codice durante l’intera durata della competizione ma anche una sua a dir poco curiosa estensione “familiare”: nel corso del ritiro, il primo nella storia della Nazionale Italiana in cui sono presenti familiari e amici dei calciatori, i momenti conviviali tra i calciatori e i loro cari sono limitati esclusivamente alle cene post-partite ed ai pochi giorni di riposo.