LECCE – Amarissimo sfogo di Simone Tiribocchi, ex attaccante con trascorsi nel Vicenza, Atalanta, Torino ed anche nel Lecce (101 presenze e 42 gol tra campionato e Coppa Italia; ha vinto il torneo di Serie B 2007/’08), che nei mesi scorsi ha scritto una lettera aperta a suo figlio ripresa in queste ore da molte testate giornalistiche. Il “Tir“, che oggi è vice-allenatore della Primavera del Chievo Verona, al suo bambino di 5 anni che gli chiedeva di andare a giocare a pallone, ha risposto mettendo a nudo tutto ciò che di marcio gravita nel mondo del calcio italiano:
«Mio figlio ha cinque anni, l’anno prossimo lo vorrei portare in qualche scuola calcio per iniziare. Mi dice sempre: “Papà voglio giocare a calcio”. Io invece lo porto nella natura a pescare. Sinceramente l’unico motivo per cui vorrei che facesse questo mestiere è per i benefici economici, ma se penso al calcio di oggi, per il bene che gli voglio, sarebbe meglio stesse alla larga da questo ambiente di merda. Io ho fatto questa vita e non ci sputo sopra, ma o sei uno che ha due palle grandi così ed è disposto a mandare giù merda o se invece sei un bambino timido, un po’ chiuso… meglio evitare. Da quattro anni vivo nel mondo delle giovanili, vedo come si comportano e vedo l’Italia calcistica com’è messa. L’Italia vive di calcio, ma manca la voglia di insegnare da parte degli allenatori. Adesso si cerca il giocatore già completo con la speranza che si faccia da solo. Una volta c’erano i giocatori in pensione che si prodigavano con i bambini, oggigiorno invece le società per risparmiare prendono allenatori che lo fanno per hobby o come secondo lavoro e fanno fare ai ragazzi quello che avrebbero voluto fare nella loro vita. Se di giorno stai in ufficio e la sera vai al campo con mille pensieri per la testa, pur con tutta la passione del mondo, non sarà mai come qualcuno che ha vissuto il calcio da professionista, sa cosa significano le rinunce e i sacrifici e li trasmette ai ragazzi. Tanti allenatori delle giovanili scaricano i filmati da internet per pianificare gli allenamenti, senza sapere se quell’esercizio abbia senso per i bambini. Chiedono ai ragazzi di ragionare non individualmente, ma di reparto, cosa che fino agli Allievi è imbarazzante, non ha senso. Le posture, le frenate, la tecnica e la tattica individuale invece non si insegnano più nella maggior parte dei casi; quando si punta ai fondamentali, invece, poi si raccolgono i frutti. Io ho visto come lavorano a Bergamo e non puoi dire “Guarda che culo l’Atalanta che ha dei giovani forti”. No, lì si fanno le cose in un certo modo, poi ogni anno vendono un giocatore da 20 milioni e gli altri stanno a guardare. Oggi il salto tra Primavera e squadre senior è immenso. Il motivo è che si pensa al risultato e non alla crescita dei ragazzi. Se un allenatore del vivaio pensa solo a vincere, sacrifica il singolo. Con questa mentalità, se hai un fantasista coi piedi buoni, ma alto 1,50, lo tieni fuori e lo bruci. In settimana non puoi allenare dei bambini in funzione della partita, altrimenti quando arrivano in prima squadra sono già finiti mentalmente, esauriti. Perché a quell’età hanno la scuola, le ragazzette, le serate con gli amici. Se gli aggiungi il pensiero che se sbaglia in campo i compagni perdono per colpa sua, quando arriva in uno spogliatoio con i grandi si caga sotto. Sono i giocatori che devono usare l’allenatore per imparare, non viceversa. Adesso tutti si sono resi conto che l’Italia ha fatto una figuraccia, ma erano dodici anni che la Nazionale lanciava dei segnali, erano gli starnuti prima dell’influenza. Si potevano cogliere questi segnali, invece no, noi italiani dobbiamo sempre precipitare prima. Mio figlio, come già detto, ha cinque anni, è nato appena prima che smettessi e solo ultimamente inizia a capire qualcosa quando vede che la gente mi ferma per fare una foto oppure mi ospitano in qualche programma. Ha capito che io giocavo a calcio e che stavo dentro la televisione, non capisce ancora che adesso non ci sto più e faccio il mister. Non vedo l’ora di poter spiegare a mio figlio quello che sono stato, che poi in realtà è solo il riflesso di quello che gli altri ti fanno sentire perché per me era calcio il giovedì con gli amici come la domenica in Serie A. Ho amato e amo questo sport dovunque e con chiunque. Non vedo l’ora di spiegargli cosa ha fatto nella vita il suo papà perché mi piacerebbe che lui fosse fiero di me, oltre che come padre, anche come calciatore. Sarebbe bello anche dirgli che ora alleno in Serie A, ma credo che siano importanti le idee più che i soldi. Quest’anno io sono il vice allenatore della Primavera del Chievo e sento che è già troppo. Intendiamoci, è una grande esperienza, ma vorrei tornare indietro e stare coi ragazzini più giovani. Vorrei lavorare con loro, creare un rapporto, spiegare dei concetti e vedere che iniziano ad applicarli, fornire giocatori alle categorie superiori, sentire che i ragazzi ti guardano col sorriso. Per me questo è il massimo per un allenatore. Se io sono felice di quello che faccio, ho delle idee e mi permettono di portarle avanti con i ragazzini, cosa posso chiedere di più? La verità, però, è che non te lo fanno fare. Le società cercano solo i risultati. Arrivano dei procuratori, anche negli Allievi, ti dicono “Questo mio ragazzo deve giocare” e ti danno 30.000 euro. O alcuni allenatori che pagano 40.000 euro per essere assunti. Poi ci si chiede come mai l’Italia non va ai Mondiali. Cari presidenti e dirigenti, non cadete dal pero. Tutti sanno che nelle giovanili c’è gente che paga per allenare o giocare e nessuno fa nulla. Cominciamo a togliere dalla circolazione questi personaggi e diamo un segnale concreto al movimento. Io capisco che le società oggi facciano fatica a far quadrare i conti e qualsiasi contributo è oro, ma così è troppo. Meglio avere dieci ragazzi in meno che prendere uno che ti paga per allenare».