L’ex Ministro dello Sport Luca Lotti

LECCE (di Italo Aromolo) – Togliere ai ricchi per dare ai poveri. Il Robin Hood della nostra Serie A è Luca Lotti, ex Ministro dello Sport che nel 2018 ha firmato la proposta di legge per ridefinire la distribuzione dei ricavi della vendita dei diritti televisivi (la vecchia “Legge Melandri”) tra le squadre partecipanti al massimo campionato. La modifica, approvata ed entrata in vigore per la stagione 2018/2019, riscrive i rapporti di forza tra club grazie all’aumento della quota da dividere in parti uguali: il passaggio dal 40 al 50% garantisce una più omogenea suddivisione della torta, accorciando il gap tra prime e ultime della classe.

Il fine più profondo è quello di rilanciare il brand del campionato ormai ex “più bello al mondo”, alla ricerca di quel fascino perduto tra scudetti virtualmente assegnati a dicembre e squadre retrocesse aritmeticamente a marzo: più equilibrio assicura spettacolo e divertimento, classifica mutevole e compatta, gare frizzanti e perennemente in bilico. Spazzar via, insomma, le aridità dell’ultimo decennio arricchendo l’intero movimento di interesse e – conseguentemente – denaro: missione compiuta?

Tracciando un bilancio un anno e mezzo dopo, i numeri parlano chiaro: le ultime 5 in classifica in questa stagione (Lecce, Genoa, Samp, Brescia e Spal) hanno totalizzato 40 punti, mentre erano stati appena 28 alla medesima giornata nel 2017, con la vecchia distribuzione dei proventi. Le attuali neopromosse producono un discreto calcio e non fanno rimpiangere matricole alla deriva come Benevento e Frosinone, mentre Genoa e Cagliari in estate hanno fatto colpi da 18 milioni (rispettivamente Pinamonti e Nandez) con serenità insospettabile in tempi passati. In crescita esponenziale anche il valore di mercato delle rose-salvezza: significativo è il divario tra la quotazione media delle cinque peggiori della Serie A prima della riforma (49 milioni) e oggi (75 milioni).

Lecce-Foggia TeleNorbaLe nobili Juventus, Inter, Napoli & Co si saranno strappate le vesti, nel frattempo? La ricchezza spostata si aggira in realtà tra i 5 e i 10 milioni a squadra, intaccando poco o nulla le tirannie di bilanci plurimilionari che con nuove prospettive di guadagno, come l’espansione nei mercati asiatici, non hanno tardato a rimpinguarsi. Al contrario, il tesoretto è stato – e sarà – linfa vitale per le casse della medio-piccola borghesia: almeno un 25% di budget in più da spendere sul mercato significa un paio di innesti di categoria per club, con tutti i benefici che derivano da un innalzamento della competitività generale.

Insomma, per una volta la Serie A si scrolla di dosso l’etichetta di specchio del peggior lato del paese – ultimo il caso di razzismo in Verona-Brescia nei confronti di Mario Balotelli – e dà un bell’esempio di come si possano sintetizzare interessi apparentemente inconciliabili – quelli dell’ancestrale conflitto tra ricchi e poveri – con misure di “equità sociale” a vantaggio di tutta la collettività.

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