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Antonino Asta

LECCE (di Italo Aromolo) – Prime sei, ultime sei: è bastato poco per rovinare tutto. Dodici partite in cui il Lecce ha gettato al vento un campionato stravinto per il resto del tempo, condotto con un piglio illusorio per tutti certi ormai che le sofferenze che da quattro anni perseguitano questa piazza fossero giunte finalmente al capolinea. Purtroppo però non esistono classifiche parziali e le prime sei partite con Antonino Asta in panchina, unite alle ultime tre di mister Braglia, hanno capovolto i giudizi di un campionato prima faticosamente inseguito, poi sognato e infine amaramente rimpianto. Conquistare otto punti in nove partite – cioè viaggiare ad una media retrocessione per quasi un terzo del campionato – non può essere il ruolino di marcia di una squadra che punta alla promozione diretta, e infatti saranno quasi certamente i play-off le forche da cui dovranno passare Papini e compagni se vorranno aspirare al salto di categoria.

Tutto ha inizio il 6 settembre scorso con la sconfitta contro l’Andria, quando la banda di Asta non riesce a far felici gli oltre 10mila spettatori presenti al “Via del Mare” e si esibisce in una prestazione scialba che vale tutto l’1-3 finale. Mancano freschezza atletica e conoscenza del gruppo, si dice. La speranza si riaccende la domenica successiva contro la Juve Stabia, con una vittoria su un campo ostico come il “Menti” frutto di una prestazione grintosa e vorace, anche quando i giallorossi rimangono in 10 per l’espulsione di Matteo Liviero. Il pareggio per 1-1 contro la Casertana fa tornare tutti con i piedi per terra: il Lecce in novanta minuti crea pochissimo e alla fine il segno “X” è il risultato giusto per una partita che non vuole spiccare il volo al di fuori della noia. La mediocrità tocca l’apice contro il Martina Franca: il pari colto al 90° è festeggiato come una vittoria straordinaria da mister Asta, che si dichiara estremamente soddisfatto del punto conquistato e della prova della sua squadra. Va bene l’umiltà, ma…

Piero Braglia
Piero Braglia

Al pareggio casalingo contro il Catania (in cui pure si fatica a ricordare palle-gol) segue la sconfitta per 4-0 contro il Foggia, tappa di game over per tecnico siciliano che viene sollevato dall’incarico e sostituito da un vecchio lupo della categoria come Piero Braglia. Il tecnico maremmano sembra avere i connotati in regola per far andare a pieno regime questa squadra e portarla in trionfo verso l’obiettivo finale: ammiriamo il Lecce dei 18 risultati utili consecutivi, il Lecce che fa sognare e divertire i tifosi (“questo è l’anno buono!”), ma anche quello delle illusioni e delle occasioni perse. Perché, per uno strano scherzo del destino, quando mancano sei partite, il calendario si fa agevole e gli ostacoli insidiosi sono alle spalle, tutto si complica e ricomincia il declino; la squadra perde lucidità, grinta e staffe, ma soprattutto quelle caratteristiche che le avevano permesso di vincere anche quando a giocar meglio era l’avversario: il cinismo e la solidità difensiva, mandata in soffitta dai 6 gol subiti nelle ultime 4 partite e le due clamorose occasioni da gol sciupate da Akragas e Messina negli ultimi secondi di gioco. Il 2-1 con il Matera fa piangere il cuore per come giunto, con un gol quasi allo scadere, ma lascia ancora spazio alla speranza. Lo 0-0 contro l’Akragas è frutto di arrembaggio ostinato e poco ragionato, in cui la buona volontà si sostituisce ampiamente alla logica delle trame di gioco. L’1-1 con il Messina è la consapevolezza che ormai la lotta al primo posto non è più roba per questo Lecce, costretto adesso a sgomitare e conquistare almeno altri 5-6 punti per ottenere l’accesso agli spareggi.

Resta il sospetto di dove sarebbe adesso la squadra salentina se quel colpo di testa di Davis Curiale, all’80° di Lecce-Matera, quando il risultato era ancora sull’1-1, fosse entrato in porta. Ma la storia non si fa con i “se” e con i “ma”, figurarsi quella del calcio…

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