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Blanchard e Beretta nella finale del 7 giugno 2014

LECCE (di Gabriele De Pandis) – La classe operaia va in paradiso. Una frase che ha caratterizzato tantissime storie di calcio, tanti scenari che però portano con sè tante biforcazioni percorse nel modo più fortunato. Avranno pensato a questo i tifosi del Lecce già nel leggere il programma della quinta giornata di Serie A che vedeva opposti allo “Juventus Stadium” i bianconeri al neopromosso Frosinone. Il ricordo della finale play-off è una ferita ancora aperta nei cuori dei tifosi giallorossi, partiti alla volta della Ciociaria speranzosi in un pronto ritorno in Serie B dopo la fantastica rimonta del girone di ritorno dell’undici di Franco Lerda.

Si diceva di Frosinone-Juventus, appunto. L’avversario di due stagioni fa capace di primeggiare anche in Serie B e di prendere al volo il treno più lussuoso con destinazione l’Oxford del calcio italiano, la Serie A. Succede che l’impatto con il massimo campionato non è dei migliori, i punti in saccoccia alla vigilia della trasferta in casa dei campioni d’Italia siano zero e le gambe comincino a tremare.

Partiamo dalla fine. La Juventus domina in lungo e in largo la partita ma non riesce a chiuderla dopo l’1-0 di Zaza al 41° e, ij pieno recupero, regala un “sanguinoso” calcio d’angolo trasformato in rete dall’inzuccata di Leonardo Blanchard che buca perentoriamente la difesa bianconera e regala il primo punto storico in Serie A al Frosinone nello stadio che era il fortino della squadra che ammazzava i campionati.

Sì, proprio lui. Leonardo Blanchard. Il centrale con la maglia numero 6 che ha reso infernale la finale di ritorno al Lecce. Tal Leonardo Blanchard da Grosseto, il talismano dei gialloblù di mister Stellone negli incroci con i salentini di due stagioni fa. Tre partite su quattro hanno sorriso al Frosinone. Ampio e “spinto” da qualche decisione discutibile il primo in campionato (3-1), contratto quello dell’andata della finale play-off (1-1), fragoroso quello dell’infausto 7 giugno che gli sportivi leccesi faticheranno a dimenticare. Manca una partita, il 2-0 del Lecce che il 13 aprile 2014 dava qualche speranza di rimonta. Ecco, in quell’occasione Blanchard era in panchina. Stellone gli preferì Biasi e la scelta fu tutt’altro che vincente. Quello che resterà alla storia è però l’ultimo atto di due anni fa, quando a suon di anticipi, spazzate, marcature e colpi proibiti o quasi Blanchard riuscì quantomeno a contenere Giacomo Beretta, punta di diamante di un Lecce stanco ma voglioso di un riscatto atteso da tutti.

Dopo il bivio percorso in direzione della gloria, gli scalini del purgatorio furono percorsi a piè pari, quasi saltellando. In Serie B il Frosinone s’assestò subito tra le grandi e Blanchard comandava ancora una volta la difesa ciociara nel salto più importante, quello in Serie A. Per festeggiare l’impresa confezionata, il centrale toscano, fervente tifoso juventino, si fa un regalo. Il posto in curva acquistato in occasione della scorsa finale di Champions League tra Barcellona e Juventus sembra quasi uno scherzo del destino per lui, promosso in A col Frosinone e pronto ad affrontare sul campo quella squadra ammirata nel punto più alto della sua storia recentissima solo qualche mese fa.

E dire che la serata “di gala” allo Juventus Stadium del Frosinone, e di Blanchard nello specifico, non era cominciata nel migliore dei modi. Prima della lettura delle formazioni, l’unico Blanchard conosciuto dai sostenitori della Vecchia Signora era il centrocampista francese Jocelyn Blanchard, meteora in bianconero (12 incolori presenze) nella stagione 1998-’99 dopo l’exploit raggiunto con il Metz, sorprendentemente secondo l’anno prima. Quando al 41′ Zaza portava in vantaggio la Juventus la deviazione decisiva che mette fuori causa Leali, portiere del Frosinone, è proprio di Blanchard. Il resto è ormai storia, del Frosinone e della carriera di Blanchard. Un altro operaio in paradiso, avranno pensato i più acuti. Intanto, qualche chilometro a Sud-est, il pensiero va ancora a quelle strattonate rifilate a Giacomo Beretta… Sì, il calcio è pieno di sliding doors.

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