brasile proteste 2LECCE (di Italo Aromolo) – Quando manca ormai poco alla fine dei Campionati mondiali di calcio in Brasile, restano ancora tanti i punti interrogativi che incombono sulla precaria situazione in cui versa lo stato ospitante, dove le difficoltà organizzative di un evento così dispendioso qual è un Mondiale si sono pericolosamente intrecciate con ben più complesse problematiche extracalcistiche. Le numerose contestazioni con cui il popolo brasiliano ha espresso il proprio disappunto in merito all’organizzazione della kermesse prima e subito dopo la clamorosa eliminazione perdendo 7-1 in semifinale con la Germania, affondano le proprie radici in una difficile situazione sociale, economica e politica di fronte alla quale il calcio non può che passare in secondo piano. Andiamo ad approfondire queste dinamiche, che hanno in qualche misura condizionato la manifestazione.

Uno sguardo generale: discriminazioni e disuguaglianze in un PVS. Come tutti i paesi in via di sviluppo, anche il Brasile è soggetto ad una certa instabilità socio-economica che sfocia in profonde contraddizioni all’interno della società civile: il paese che occupa il settimo posto nella classifica mondiale per Prodotto Interno Lordo (oltre 2mila miliardi), che dal 2003 è membro di lusso del G20 e che è leader indiscusso per esportazioni mondiali di caffè e carne è lo stesso in cui 15 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà e in cui solo 9 giovani su 100 frequentano l’università.

Ma non c’è solo l’iniqua distribuzione della ricchezza tra le piaghe carioca: un alto tasso di criminalità (guerriglie e disordini sono all’ordine del giorno soprattutto nelle favelas, dove è concentrato ben il 6% della popolazione), un radicato sentimento razzista (secondo le stime, un nero guadagna meno della metà di un bianco), un diffuso sfruttamento giovanile (sono più di 4 milioni i bimbi-lavoratori, la cui misera paga si aggira sui 50 dollari al mese) e al tempo stesso un elevato quoziente di disoccupazione (attorno al 18,5%) hanno contribuito a creare una situazione di disagio che ad oggi, complici la crisi economica mondiale e l’esaurirsi del boom economico nazionale, ha finito per coinvolgere anche quelle classi medie che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione. E se la percentuale di analfabeti, che raggiunge picchi locali del 25%, auspica la costruzione di nuove scuole e asili nidi, il tasso crescente di mortalità infantile (superiore al 3%) e di invecchiamento della popolazione (l’11,3% ha più di 60 anni) richiede un sostanziale potenziamento del sistema sanitario.

brasile protesteLe contestazioni “mondiali”: il Brasile in piazza per dire no agli sprechi. In questo quadro ai limiti dell’emergenza nazionale, la regia dei Mondiali ha pesato non poco sulle casse del governo brasiliano: gli 11 miliardi di dollari spesi per la gestione dell’evento rappresentano il principale capo d’accusa per il leader politico del paese Dilma Roussef, non tanto per il fatto che non siano neanche risultati sufficienti per completare i lavori (non tutti gli stadi sono stati consegnati alla FIFA), quanto perché dirottano preziose risorse economiche da destinare eventualmente a tutti gli altri settori carenti di cui sopra. Per fare qualche esempio, con la stessa faraonica cifra sarebbero potute essere costruite 5.500 nuove scuole o, in alternativa, si sarebbe potuto garantire gratuitamente il vaccino della febbre gialla – seconda malattia infettiva più diffusa del paese- alle prossime quattro generazioni di brasiliani.

I continui sit-in di protesta, che da oltre un anno si susseguono tra scioperi, occupazioni e – ahi noi – violenze, sono incentrati proprio su questa tesi: “We want quality schools and hospitals: fuck the World Cup!” (“Vogliamo scuole di qualità ed ospedali, al diavolo la Coppa del Mondo!”) è uno degli slogan più significativi sulle note del quale hanno ribollito associazioni e iniziative anti-mondiali tra cui segnaliamo la “Giornata di lotta contro la Coppa del Mondo” e la “Copa pra quem?” (“La Coppa per chi?”).

BrasileE se alla voce “benefici mancati” si aggiunge quella “danni arrecati”, risulta ancor più facile capire perché, secondo un sondaggio nazionale, appena il 52% dei brasiliani guardi di buon occhio alla Coppa del Mondo: parliamo degli 8 operai che hanno perso la vita nei cantieri degli stadi in costruzione e delle 30mila famiglie sfrattate (solo a Rio de Janeiro) per demolirne le case ed edificarvi al loro posto nuove strutture recettive, ma anche della sfrenata speculazione economica (lievitano i costi di case, biglietti aerei, etc.) e della cosiddetta “pulizia sociale” che vuole l’eliminazione anche fisica di clochard e vagabondi.

In questo drammatico status presente e in una prospettiva futura tutt’altro che rosea ( si prevede lo stesso copione tra due anni, quando saranno ospitate anche le Olimpiadi), gli attivisti contestatori, supportati nelle intenzioni da tutto il popolo brasiliano, si dicono pronti ad arrivare alla soluzione estrema: boicottare la manifestazione per ricordare il loro messaggio a tutto il pianeta: “Ordem e progresso!”*

* “L’ordine come base, il progresso come scopo”, motto nazionale inscritto sulla bandiera brasiliana.

(Fonte dati: Istituto Brasiliano di Geografia e Statistica)

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